L'Unità boccheggia. L'estrema unzione sta per essere impartita nelle due regioni più rosse: Emilia Romagna e Toscana.
Ce lo fa sapere l'Aser - il sindacato dei giornalisti emiliani -, organismo di categoria del quale sono (indegnamente) dirigente. Bologna e Firenze senza la redazione dell'Unità. Triste.
C'è un editore che fa i conti con il pallottoliere, ma i numeri non lo soddisfano e dà una bella sforbiciata; ne ha tutto il diritto. E ci sono i giornalisti che che tentano di difendere il posto di lavoro; altrettanto sacrosanto. Una storia già vista, raccontata e analizzata. Questa volta, però, c'è qualcosa di diverso rispetto allo storico dualismo proprietà-sindacati. È il pezzo di storia che rappresenta quella testata. È l'anima di quel giornale.
Sei lettere e un apostrofo rosso, campeggiavano sui cappelli dei muratori del dopoguerra, facevano da cornice alle bacheche fuori dalle sezioni del Pci. I caratteri inconfondibili scivolavano, silenziosi e velocissimi, dentro alle fabbriche per poi andarsi ad anfrattare negli armadietti metallici, pronti ad essere letti quando suonava la sirena del rancio.
Non ne andava persa nemmeno una stilla; quando le notizie perdevano di attualità, l'Unità si adattava a piegare le uova o a tenere ben caldo il pasto degli operai. I compagni più sportivi la usavano anche sotto la canottiera, per combattere il freddo, quando a lavorare ci si andava in bicicletta.
L'Unità era Melloni-Fortebraccio, i corsivi illuminati di Michele Serra (mamma mia, quanto è bravo questo romanaccio che guardava il cielo e lanciava stilettate ai potenti).
La testata faceva capolino orgogliosamente dalla giacca di Berlinguer, spuntava civettuola dalla borsa a tracolla di Nilde Iotti (era anche nella mazzetta di Massimo Inciucio D'Alema, ma sorvoliamo su questo particolare).
L'Unità è tutto questo e altro ancora. Pochi giornali hanno un'anima: il quotidiano messo in piedi da Gramsci ce l'ha, eccome se ce l'ha, cristosanto.
Non fateci morire con giornali che parlano dell'ultima fellatio di una escort. Vi scongiuro.