È uscita quasi per caso dal gracchiare confuso di una
stazione radio malsintonizzata. È uscita tra omelia monotona di Radio Maria e
le notizie del traffico sulla rete autostradale. Saranno stati dieci anni che
non la sentivo. Quasi un afflato inudibile, ma per me è stato come uno squillo
di tromba. Era “Pablo” di Francesco De Gregori. Roba da pugni nello stomaco.
Per quanto mi riguarda l’opera di quest’uomo è solo quella
canzone. Null’altro. Anche se ho passato la mia infanzia a canticchiare le sue
canzoni, Pablo è stata la mia colonna sonora.
Lo spago sulla valigia.
Il fumo diviso lontano da casa.
La moglie ingrassata come da foto.
L’ascoltavo solo una volta al giorno, per centellinare le
emozioni. Quella canzone ha operato in me una
rivoluzione libertaria.
È l’Anarchia ciò che mi resta
di Pablo. Che non è una bandiera, non è un comizio, non una presunzione e
nemmeno un programma politico; di certo non un graffito su un muro, ma nell’anima.
Ecco, una probabilità di redenzione. Che riguarda gli uomini e le cose degli
uomini, che riconosce futuro nel mondo perché è capace di immaginarlo. Hanno
ammazzato Pablo, Pablo è vivo.
Ho sentito l’ombra di tutto
questo inciampare nella mia vita a quattordici anni. Mi ero messo per strada,
così come fanno i ragazzi che vanno in cerca di niente. Sono inciampato nel
solito bar, dove all’interno si vendevano vini bianchi e spume al ginger. Fuori
dalla porta c’era una reclame del Rosso Antico, tre sedie e un juke box
C’erano facce da sbandati (tra
cui la mia) che se ne stavano ad ascoltare una canzone. La canzone diceva: mio
padre seppellito un anno fa, nessuno più coltivare la vite...
Ascoltavo quella canzone come
se fosse la mia voce, perché la sua voce aveva rotto il silenzio che io covavo
dentro. Mi sono fermato accanto a quel juke box e l’ho imparata a memoria,
senza intenzione. Ora non saprei dire cosa sentivo di quella canzone e come
potesse avermi scelto per forzare il mio silenzio. So che davanti a quel bar ho
cambiato età, e quella nuova non è ancora conclusa.
Pablo è stata la voce del mio
silenzio. Anche se scrivo per campare, rimango pur sempre un uomo che non ha
abbastanza voce. Non perché possa in coscienza pensare di bastare anche al mio
personale bisogno di libero pensiero.
E tutte le volte che sento quel
canto anarchico, mi si accappona la pelle.
Quel canto di libertà che in
molti si sentono in dovere di ascoltare a pugno chiuso...
E se ti dico che non conosco la canzone mi rimuovi dagli aMICI? Non farlo la cerc o e l'ascolto, così entrerò nella tua intimità, dammi il tempo di ascoltarla e poi ricommento.
RispondiEliminaA.L.
La rimozione dagli amici sarebbe un "eufemismo" se fossi uno di quelli di "quel bar" . L.M.
EliminaA ciascuno di noi è capitato che un qualcosa d’improvviso ci è entrato dentro per cambiarci la vita.
RispondiEliminaAlmeno così lo abbiamo percepito, poiché - in realtà - quel qualcosa è stata solo la scintilla che ha innescato il fuoco che covavamo dentro dalla nascita, per inclinazione, ed è bastato quel nulla per rivelarlo a noi stessi.
Nulla è mai cambiato in un attimo. Eravamo già così . è bastato aprire una porta, o forse la porta giusta. L.M.
Eliminauna canzone, uno spot, una scena qualunque, all'improvviso accende la miccia, è come quel fuoco che si divincola silenzioso sotto la sterpaglia per prendere piede all'improvviso e mostrare tutta la sua forza, così siamo noi, vivacchiamo per anni strascinando i pensieri tra un falso dire e un falso fare e poi....un bel giorno la mente si impunta e ci viene naturale alzare la voce e reclamiamo la nostra Identità come esseri reali e pensanti, e si ,il Pablo , in ognuno di noi è vivo
RispondiEliminaBruna
E si Caro Aldo , i Tuoi racconti hanno sempre qualcosa di costruttivo; ma quando parli della Nostra gioventù nel paesello, sei ancora più profondo . L.M.
RispondiEliminaPablo e' ancora vivo,ma dentro di noi
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