Ciò che è accaduto nei giorni
scorsi in Emilia è inimmaginabile. Lo è nel senso letterale: non disponiamo
delle risorse intellettuali per trasformarlo in immagini efficaci. Paesi interi
ridotti in trenta secondi di tempo all’età della pietra. Morti sepolti vivi,
migliaia di sfollati, edifici e capannoni che crollano come castelli di carta:
sono informazioni e immagini che riceviamo e che non siamo in grado di
utilizzare per produrne uno stato d’animo che ci collochi efficacemente
all’interno di quell’avvenimento. Più di mille frame servono a capire gli
avvenimenti gli occhi opachi degli anziani che hanno avuto la fortuna di
sopravvivere. Alcuni dicono che, quella notte. “è stata peggiore di quella dei
bombardamenti”. Hanno perso tutto. Lo dicono con gli occhi lucidi; sembrerebbe
quasi che siano in procinto di piangere: ma non lo possiamo dire con esattezza,
loro hanno sempre gli occhi lucidi, anche quando giocano a carte nell’osteria
del paese.
Un piano sequenza sulle macerie
ci ha mostrato proprio una vecchietta, seduta su di una seggiola di plastica
posticcia. Di fianco a lei c’era una pianta grassa. Una di quelle piante
spinose che non vedono mai la luce. E nemmeno il sole. Tuttavia in virtù di
qualche cosa che io chiamo miracolo, vivono. Ammiro profondamente queste piante
brutte e pericolose: sono una ostinazione tutta particolare del vivere con
eroismo silenzioso da cui dovremmo imparare ogni giorno
Non c’era quadro migliore per
rappresentare l’Emilia ferita. Non ci riuscirebbe il racconto migliore, le
immagini – fotografiche o televisive - più efficaci. Quella immagine di silenzio mi ha insegnato
molto, e molto ha insegnato anche agli emiliani: alla fine, molti preferiscono
tacere, sopraffatti dall’inadeguatezza delle loro stesse parole a far comprendere
appieno ciò che hanno vissuto.
Ciò che facciamo quando una
cosa non riusciamo nemmeno a immaginarcela, quando ci è impossibile “farcene
una ragione”, è di far finta di niente. Accantoniamo, releghiamo in un posto
sicuro e inoffensivo, lasciamo perdere. Di solito è un’operazione che riesce.
Operazione di autodifesa,
naturalmente, pulsione di conservazione, ed egoismo. Perché può capitarci di
non essere sopraffatti tanto dall’enormità della tragedia altrui, ma piuttosto
dal peso che un nostro coinvolgimento ci graverebbe sulle spalle. Perché ci è
stato insegnato, nel corso dei secoli, che non può esserci indifferente ciò che
grava su una parte degli umani, ma quel peso grava su tutto il genere umano. La
nostra parte ha un nome, e non è “elemosina”. L’elemosina, se non vogliamo dare
un tono spregiativo alla parola, ne è solo a sua volta una piccola parte. Il
nome per esteso è: compassione e misericordia. Espressioni note a tutte le
culture e le religioni della Terra, con modeste variazioni di lessico e
significato. Se condividi la pena del tuo fratello umano, dividi con lui ogni
cosa che tu hai. Tu gli appartieni e lui ti appartiene.
E questa è la seconda lezione
da questa tragedia emiliana. Cerchiamo di farne tesoro...
grazie . io non ho parole ...uno dei paesi distrutti Sant'Agostino era il paese dove ha vissuto la mia nonna materna prima disposarsilì hs conosciuto mio nonno ai tempi della prima guerra mondiale e lì si è sposata,fino agli anni 70 lì hanno vissuto gli zii materni di mia madre e i suoi cugini ..... da piccola accompagnavo mia nonna a trovare i suoi fratelli, ricordo le torte fatte con i tagliolini e anche il tartufo che mia nonna mi portava a mangiare alla trattoria della Rosa .
RispondiEliminaQuando se ne andarono gli ultimi cugini di mia madre , la casa dei miei bisnonni la cedettero al comune che vi fece all'epoca un asilo nido e il giardino divenne un parco pubblico .
Mia nonna se ne è andata da tanto tempo ... questo maggio sarebbe morta di crepacuore ...
Entusiasmo e disincanto a
RispondiEliminaconfliggere ogni giorno.
Se riuscissi ancora una volta a colmare la mia coppa di senso … Ed invece …
Nelle mani rimangono solo pane secco e latte acido.
Poco salvo dell’uomo e della sua natura .
Saremo mai capaci di vera con_divisione?
Non credo proprio.
Una carezza Mariaconcetta
Terremoto
RispondiEliminaTrema la terra
e tremano i cuori.
Tende stabili
vacillano come foglie
a alito di vento imperioso.
Trema la terra
e i cuori han paura.
Madre terra urla
strattona e sgretola.
Uomini adulti
piangono come bimbi.
Stentano le anime
a riprender vita
E tutto ricopre la polvere,
maestosa dimora di re
un tempo fu.
Bruna
Complimenti, bel pezzo. Castelli di Scrittori -Daniela*
RispondiEliminaNon dobbiamo dimenticare!
RispondiEliminaRicordare però è anche fare quanto possibile per ridurre quanto possibile i danni provocati dai terremoti.
Vivo in una zona che il capo dipartimento della protezione civile, Franco Gabrielli, ha definito una delle zone a rischio sismico più elevato d'Italia, affermando che c'è da attendersi un terremoto di elevata intensità, invitando la popolazione a prendere le precauzioni necessarie nell'attesa di un simile evento.
Era il Febbraio 2011: la locale sezione della protezione civile e le autorità comunali avevano preannunciato una serie di interventi, tra cui una prova di evacuazione generale da effettuarsi entro un anno.
A distanza di 16 mesi non si parla più di prove di evazuazione e non è stato fatto nessun controllo sulla adeguatezza strutturale di edifici pubblici e residenziali, nonostante una stima dei tecnici di un possibile crollo del 70% degli edifici del centro storico.
Prevenzione non significa nascondersi dietro a un dito e fare finta di non sapere che un probabile evento sismico di elevata intensità provocherà perdite di vite umane considerevoli.
Non preoccupatevi: quelli di noi che potranno farlo non si dimenticheranno di voi!