Assai
più dei loro uomini, le donne di Genova hanno fatto parlare di sé
nel corso dei secoli. Hanno fatto innamorare una marea di forestieri
e ne hanno fatto disperare in egual misura. Montesquieu si è spinto
a giurare che fossero le più belle e le più fiere d’Europa.
Le
donne di Genova. Che non vuol dire essere nate a Genova. Vuol dire
transitare e sostare per un tempo abbastanza lungo sotto la Lanterna
per essere plasmate indelebilmente dall'aurea femminea genovese.
Ieri
sono andato a spalare il fango, anch'io come migliaia di altre
persone. Ho fatto catene per svuotare cantine, ho cammallato conche
di sporcizia, ho tolto con le mani pezzi di vetro dai tombini. Poi ad
un certo punto del pomeriggio, mi sono guardato intorno – complice
anche un mal di schiena dovuto all'incedere degli anni, lo ammetto.
Chi non ha mai mollato un attimo il badile apparteneva al sesso
femminile. Sono le stesse, mi hanno detto, che hanno sfidato l'onda
di piena, hanno guardato in tralice il fango che veniva giù per le
strade. Ora guardano quella melma con rabbia. E con dignità.
A
dire il vero a faticare in mezzo al fango c'erano anche
extracomunitari, anziani e bambini – uno addirittura con paletta e
secchiello più adatti ad una spiaggia che a quell'inferno.
Ma
non è di questo che voglio parlare. Voglio parlare di storie di
donne, donne di Genova. Come quella che riguarda Maria, una anziana
donna che abita in Borgo Incrociati a pochi passi dal torrente
Bisagno. Era in Corso Torino, dove anche noi di Lavagna prestavamo
soccorso. “Oramai la mia casa è a posto, vengo qua, dove hanno
bisogno di braccia”, me lo ha detto con un sorriso, in risposta al
mio sguardo sbalordito. Abbiamo diviso una sigaretta e un panino con
la mortadella, poi lei ha attaccato a parlare della sua vita. Era
piccola quando c'erano i tedeschi con la loro parlata secca e
gutturale. Maria ha preferito andare con i banditi, in mezzo ai monti
del genovese. Ci avrei scommesso. “Ho fatto la guerra, vuoi che
abbia paura di due gocce d'acqua?”. Quando mi sono avviato verso la
stazione, l'ho cercata per salutarla. Era in mezzo agli Angeli del
Fango, con la sigaretta pendula e l'eterno sorriso. Mi ha
riconosciuto e mi ha salutato con una nenia che sembrava un fado “Una
mattina mi sono svegliata e ho trovato l'invasor...”. Poi ha riso,
buttando la testa all'indietro.
Queste
sono le donne di Genova. Quelle che affrontano l'emergenza con
dignità. E lo fanno con quello sguardo che non ti dà scampo. Con la
stessa cristallina fermezza che hanno negli occhi quando guardano i
cartellini dei prezzi di un besagnino di Castelletto; le guardi di
sottecchi e non vorresti essere nei panni del promotore finanziario
che ha osato provarci a tirarle il pacco.
Come
puoi non amarle, le donne di Genova? E mi
chiedo se quel fango gridi vendetta per questa città e se questa
città abbia mai chiesto vendetta.
Oppure
si aspetti solo giustizia. Come quella
che chiede Maria, che probabilmente sarà in qualche scantinato a
raccogliere merda con il sorriso sulle labbra.
Ciao,
bella.
Bella,
ciao...
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