Verso la fine del
pomeriggio, il cielo copre tutto di tinte porcellanose, virando poi,
di minuto in minuto, verso un grigio che mette allegria – niente a
che vedere con quello delle più opprimenti giornate invernali.
Cerco di non perdermeme uno. Mi metto su uno scoglio, uno qualunque, sulla passeggiata mare
di Lavagna e da lì guardo lo spettacolo del sole, del mare, del
cielo, del dito verde del promontorio di Portofino, dei gabbiani che
gridano, dei pesci che saltano a pelo d'acqua, degli uomini e delle
donne che vivono nel tranquillo succedere delle cose.
Seduto su quel pezzo di
roccia, osservo anche le frotte di ventenni palestrati che salgono
dalla spiaggia in tempo per l'aperitivo e con l'umore giusto. L'umore
di chi non ha pensieri, né ne ha mai avuto, né mai ne avrà in
futuro. L'umore di chi guarda alla vita come ad un fiume che scorre
placido, trascinando con sé cocktail, aperitivi, brunch, happy
hours e movide. Un'immensa e inesauribile pausa caffé. L'umore, insomma, di
chi non ha mai fatto un cazzo in tutta la vita – e, a volte, se ne
vanta pure.
Si avvicina uno di quegli
esemplari fantastici di imperfezione umana. È inguainato in una
maglietta emostatica che mette in risalto la sua notevole tartaruga
addominale, le gambe sono fasciate da un ardito paio di pantaloni di
stretch a vita bassa che lasciano indifeso l'elastico delle mutande
su cui si poteva leggere l'acrostico D&G.
- Amico, cioè, sai l'ora?
– la frase gli esce tra il ruminare di un chewing gum (unico
indizio di vita nella sua espressione facciale).
- Non ho l'orologio, ma
dalla posizione del sole penso che non dovremmo essere distanti dalle
sette. O meglio, dalle diciannove - rispondo.
- Ah – sguardo
sbalordito -. Cioè, amico, mi sembra che sei fuori come un balcone. Stai tranki e comprati un orologio, cioè. Io vado a
fare l'ape con la Francy. La conosci, cioè? Non penso proprio, cioè,
sei un dinosauro. Scongelati un po', cioè. Ciaciao... - detto questo
si abbassa gli enormi occhiali scuri come un motociclista fa con il
casco prima della partenza di un importante Gp e caracolla verso uno
dei tanti chioschi del lungomare.
Seguo l'andatura
sculettante del cerebro-assente, finché il mio sguardo si posa su
una donna che saliva dalla spiaggia. Impossibile non posare gli occhi
su di lei.
Ah, come sono belle, le
belle donne che salgono dal mare. Muovono passi stanchi per il lungo
pomeriggio passato a crogiolarsi sotto il sole, ma ancora ritmati dal
faticoso camminare sulla battigia.
Come sono belle, le belle
donne che tornano dal mare.
Hanno un'aura di naturale
intoccabilità che si cela sotto i grandi occhiali scuri. Hanno il
prendisole di cotone grezzo, bianco e lungo, che asseconda in egual
misura i fianchi e la brezza di tramontana. Scansano con grazia
eterea i detriti naturali e artificiali sparpagliati sulla spiaggia.
Poi salgono la scala metallica con la maestria di Wanda Osiris e con
un elegante ondeggiamento scrollano gli ultimi residui di sabbia che
si sono impunemente attaccati ai loro affusolati piedi abbronzati.
Stanno in equilibrio perfetto come un magnifico cigno bianco. Anche
il ciabattio delle loro infradito in pelle marocchina è una musica per
tutte le orecchie.
Come sono belle, le belle
donne che salgono dal mare. E come è bello ammirarle.
- Cazzo c'hai da guardare,
sfigato. Belin, che gente che c'è in giro – la dea levantina aveva
un accento tanto spesso che ci potevi anche piantare le patate.
Non parlate e fatevi solo
guardare, belle donne che salite dal mare...
Nessun commento:
Posta un commento