giovedì 26 settembre 2013

Un po' di ferie



Solo una cosa vorrei, e per questa cosa sono disposto a pregare, pregare anche delle divinità prese in prestito in questo istante, gli spiriti indiani e il mitico Thor: vorrei che a questo Paese fosse concesso un mese di ferie. Un mese di ferie alla gente di questo Paese, alle sue montagne, ai suoi mari, ai giornali e alle città, alle industrie e al parlamento; tutto quanto si muove, respira e vive.
Un po' di tregua.



Un mese, un mese che non succeda niente, che tutto se ne stia immobile e calmo, placidamente disteso sul nulla. Perché se qualcosa succede, qualunque cosa o essere si muova per agire, è ormai certo che non ne possa venir fuori che una brutta notizia. Alzarsi la mattina con la certezza che il tuo latte e caffè sarà mortificato da una brutta notizia, andarsene a letto lasciandosi alle spalle la frustrazione dell'ultimo telegiornale: quanto potrà durare così? Mai una buona notizia, mai.
Il punto è che alle notizie non puoi sfuggire. Ti inseguono e ti accerchiano.



Dopo il centro commerciale di Nairobi, dopo gli innocenti giustiziati per nulla, dopo il volto della ragazza nera accasciata sul selcio a piangere lacrime di sgomento, io, almeno io, me ne sono andato in ferie. Per un paio di giorni ho spento radio e televisione, ho smesso di leggere giornali.




Stamattina ho acceso timidamente la radio, ho cercato cautamente una frequenza dove non fosse presente il jingle che introduce le news. Ma è una battaglia persa in partenza. Poco dopo hanno fatto invasivamente irruzione nel mio risveglio la notizie di un terremoto in Pakistan, la richiesta dell'ergastolo per Parolisi, un uomo che prende a colpi d'ascia la propria consorte e la probabile cacciata di Silvio Berlusconi dal Parlamento. Ci avete fatto caso? Le buone notizie sono sempre alla fine della scaletta dei notiziari...

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