Angelo, Antonio, Bruno, Giuseppe, Roberto, Rocco, Rosario.
Sette nomi. Sette vite spezzate.
Pochi se lo ricordano, qualche “breve” nella pagina di cronaca locale. Quattro anni fa, la notte tra il sei e il sette dicembre, questi uomini hanno perso la vita nel modo più inconcepibile: lavorando.
Le chiamano morti bianche. Una metafora, accolta da tutti, che le fa apparire ancora più silenziose e lontane. In un limbo.
Ma le cifre che riguardano le morti sul lavoro, assumono le sembianze di un bollettino di guerra. Felice Casson, nel suo libro del 2007 “La fabbrica dei veleni”, definisce questo fenomeno “una guerra di trincea” combattuta “tra operai e padroni, tra sindacati e industriali, con gli organismi pubblici, nel migliore dei casi, nel mezzo, come passivi e imbelli spettatori”.
L’Italia, è la maglia nera in Europa. Da noi chi tira la carretta muore più facilmente rispetto alle altri parti del Vecchio Continente: il doppio rispetto alla Francia, sei volte in più rispetto alla Gran Bretagna.
Ma ce ne ricordiamo solo quando succedono “episodi gravi” (come la ThyssenKrupp, per esempio).
Tra i morti sul lavoro, uno su sei è immigrato: le stesse etnie che sono al centro delle polemiche sulla sicurezza. Le vittime sono in maggior parte marocchini, seguiti dai rumeni e dagli albanesi. Ma i numeri sono in crescita.
Dalle statistiche emerge un altro fattore preoccupante: molti incidenti non vengono nemmeno denunciati. Poi ci sono anche le morti fantasma: per la morte di un lavoratore non in regola, il datore di lavoro corre pochi rischi. E ancora di meno se si tratta di un immigrato.
Dal 2003, il numero approssimativo per difetto delle morti bianche assomma a settemila: un intero paese che silenziosamente sparisce.
In quella forbice di numeri astratti si nascondono realtà più grandi di noi: la malavita organizzata, ma anche le grandi multinazionali. O tutte e due le realtà quando innescano il patto del silenzio. Chi ci va di mezzo sono le categorie più deboli: immigrati e precari.
Vite di serie B, come quella di Khaled, un giovane senegalese. Gli sono bastati tre anni di lavoro in una serra per beccarsi il cancro alla prostata. La causa? Esposizione ai pesticidi.
È stato il suo permesso di soggiorno...
...con buona pace per i benpensanti....capito Sig.ra Contessa?
RispondiEliminaTra malavita organizzata e multinazionali, non vedo la differenza.
RispondiEliminaDavvero quanti Khaled di cui non veniamo a conoscenza e quanti padri di famiglia se ne vanno in troppo silenzio, però ... e non voglio essere fraintesa ( Nel senso che provo dispiacere anche per loro) I ragazzi che muoiono in guerra tornano qui con tanti onori... e non dico altro. Altrimenti rischierei di dilungarmi troppo. Si direbbe che meritano onore coloro che "servono" la patria, ma quelli che eroicamente lavorano .... sono dei poveretti che non meritano neppure considerazione... che bel paese è il nostro
A.L.
Ne avevamo già parlato, Aldo. La sicurezza rappresenta un costo, e poco importa se poi muoiono delle persone.
RispondiEliminaIo ogni tanto avanzo u na proposta. Commissariare le aziende in cui avvengono per dolo (è bene chiamare le cose con il proprio nome) degli incidenti mortali o gravi, destinando gli utili generati dall'azienda a instaurare un sistema di sicurezza valido.
Toccare i soldi sarebbe l'unico sistema per convincere certi "imprenditori" che la sicurezza non è un optional.
Muti e silenziosi , quasi in punta di piedi tolgono il disturbo senza un lamento. A volte ci si chiede se davvero sono stati.
RispondiEliminaL’entusiasmo : il lavoro ottenuto in un periodo di crisi nera e il disincanto a confliggere ogni giorno.
Se riuscissi ancora una volta a colmare la mia coppa di senso. ..Ed invece … Nelle mani rimangono solo pane secco e latte acido. In loro neppure questo.
Mi taccio per rispetto.
Mariaconcetta
dissonanze
RispondiEliminatra i lai
l' utero sterile
partorisce
vuoti a perdere
Io Mari
Credo che questa mia racconti in altro modo la mia idea.
Mariaconcetta
Compagni dai campi e dalle officine
RispondiEliminaprendete la falce e portate il martello
scendete giù in piazza e picchiate con quello,
scendete giù in piazza e affossate il sistema.
RIT.:Voi gente per bene che pace cercate,
la pace per fare quello che voi volete,
ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra,
vogliamo vedervi finir sottoterra.
Ma se questo è il prezzo l’abbiamo pagato,
nessuno più al mondo dev’essere sfruttato.
Aldo questa è una guerra tra operaio e fame, tra operai e oblio della non vita, tra operaio e un bisogno disperato di mangiare,
RispondiEliminasi chiamanp morti bianca perchè, secondo me, l'operai sempre muore, o lavorando e così ha un bonus di giorni, fin quando non accade l'incidente o muore di fame....
.cmq sempre muore, tanto ce ne sono molti ....è facile sostituirli, cercando di farlo in silenzio....per non disturbare il sonno dei potenti
Bruna
La quotidiana lotta di chi il pane se lo guadagna, non solo onestamente ma anche con la vita. Ingiustizie si sommano alle ingiustizie. Morire di lavoro è una vergogna!!! Grazie Aldo, bravo come sempre.
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