È
una storia che si ripete, ma oggi ve la voglio raccontare.
Capita
spesso, quando sono in libreria, che il discorso dalle ultime uscite
letterarie si sposti verso il terreno minato della politica. Non si
dovrebbe, ma succede (cosa c'è di meno letterario della politica?).
Ieri si parlava di malgoverno: un argomento sempre attuale, che non
manca mai di offrirci ricchi spunti. Ad un certo punto –
inevitabilmente – l'oratore di turno, modulando il registro della
voce verso il basso, e con un certo senso di commiserazione mi guarda
e dice: “Certo che anche voi comunisti, qualche colpa ce
l'avete...”. E poi via, come una allegra filastrocca, ad elencare i
tanti orrori del comunismo (oppressione, libri paga russi, coop
rosse, bimbi mangiati crudi). Ma c'è un errore di fondo.
Il
lugubre bilancio del comunismo di potere va ad intaccare le coscienze
di chi - effettivamente e senza paraventi - comunista lo è stato.
Questa struggente sensazione di fallimento convive però con una
certezza, altrettanto forte e perfettamente contraddittoria: che
quella appartenenza, quella cultura, quella militanza è stata
occasione di crescita, di riscatto, di autentica liberazione per
milioni di persone, specie gli umili, gli sfruttati, i senzanome e
senzadio, che dentro a quella scuola
si sono costruiti una dignità e un'identità prima impossibili.
Se
del comunismo è inevitabile avere una pessima memoria, di quanti
comunisti non possiamo avere una ottima memoria? Vi risparmio
l'elenco dei nomi (uno è mancato due settimane fa…), ma ognuno di
noi ne ha parecchi in mente.
La
mancata comprensione di questo viluppo stretto tra un ideologia
totalitaria e la sua capacità di suscitare
anche coscienza critica, moralità e storie degne di essere
ricordate, è ciò che rende monca un'analisi storica che va molto in
voga in questi tempi.
E
anche poco affidabile, se permettete.
Chi
conciona contro il comunismo, perché omette di riflettere sui
comunisti?...
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