Si avvicinava di soppiatto nei perimetri degli improvvisati crocchi che si formano vicino al bancone di Brunin. Ordinava un caffè “basso e leggermente macchiato caldo” e si sedeva nel tavolo più appartato. Aspettava solo l'orario della parrucchiera, nel negozio di fianco all'osteria. Ogni tanto scrollava la testa, come per togliersi di dosso la polvere dei pensieri molesti.
Amelia è un'attrice di teatro. Nel suo viso, i segni della vecchiaia sono solo una debole maschera della bellezza straordinaria di qualche anno fa. Quasi si vergognava si raccontare del suo passato, dei suoi lavori con Mariangela Melato e Alberto Lupo. Della grama vita delle compagnie itineranti, della concorrenza sleale della prima Tv targata Mike Bongiorno. Poi un bel giorno è implosa: ha raccontato, liberando nell'aria il profumo inebriante dell'assito del palcoscenico. “Oggi – dice - è quasi una vergogna dire che si è vissuto di arte e cultura ”. E pericoloso, aggiungo mentalmente. Si rischia di passare per disperati.
La cultura è forse il problema più spinoso per la società d'oggi. Non tanto l'accettarlo, ma il come risolverlo. Con la nuova Milleproroghe, il Governo ha pensato di rottamare tutti gli intellettuali. Resta da decidere dove stoccare tutti gli intellettuali di sinistra e come smaltirli. Il guai arrivano dalle barbe altamente infiammabili e dalle giacche di tweed che sprigionano pericolosi vapori di alcol e zaffate di fritto da pessima trattoria. Dovendo giocoforza scartarne l'incenerimento, gli uffici tecnici governativi ne sconsigliano anche l'utilizzo nell'alimentazione animale, vista l'età avanzata degli intellettuali (giovani esemplari non se ne vedono in giro).
Non rimane che la rieducazione in centri per il lavoro manuale situati in Brianza e nel trevigiano. Là attori, scrittori, scultori, musicanti e cantanti, pittori e saltimbanchi saranno avviati allo schiacciamento del chiodo e alla tecnica denominata “picca e pala”. Sullo sfondo una gigantografia di Sua Bassezza con l'elmetto giallo da carpentiere allieterà i lavori. Alla fine del corso a tutti gli intellettuali sarà consegnato l'attestato “Ghe pensi mi” e un set di attrezzi da muratore. A richiesta, anche un avviso di garanzia per abuso edilizio.
Questa simpatica soluzione al problema della cultura nel nostro paese, pare sia stata suggerita al Primo ministro da un suo vecchio amico: Vladimir Putin. Lui, in queste cose, è un vero esperto...
non credo che andrò in Brianza a far morire l'intelletto...continuo a crederci in un mondo migliore e penso altresì che siamo noi, per primi, a doverci mettere le mani e la mente per rifarlo daccapo...grazie Aldo.
RispondiEliminaCaro amico mio, capisco la tua idea, ma speriamo vivamente che non sia realmente così
RispondiEliminaAmaro ma sono sicura che nessuno potrà impedire l'uomo di pensare e di creare.E la nostra libertà e essere liberi,non significa essere inutili.Ognuno ha una vita e un ruolo anzi una necessità di essere in modo che la sua natura si realizzi.Grazie Aldo Laura dalla Francia.
RispondiEliminaCaro Aldo abito ai confini della Brianza da molti anni ormai, ma mi ribello ogni minutosecondo a questo abominevole omicidio di massa intellettuale, dico così e non penso di essere blasfema.
RispondiEliminaNon mi piango addosso, come sai questo modo di fare non mi appartiene.
Lotto ogni giorno con le unghie e con i denti per non soccombere e non trasformare i miei alunni in prati incolti.
Non so se ci riesco. ma Dio mi é testimone, ci metto l'anima.
Hai ragione. la cultura é fuori dal mercato.
Solo il Foro Boario paga.
Si mette all'asta la propria dignità fregandosene della liberta, libertà di pensiero che solo la cultura può regalare.
Ma io credo che la libertà passa sì dalla cultura, ma anche dalla partecipazione consapevole.
Non lasciamoci narcotizzare. Almeno il nostro agito sia sempre non ammalato di scoliosi.
Grazie Aldo.
Leggerti é sempre un grande piacere per me.
Cordialmente
Mariaconcetta
Come possono sorgere degli intellettuali con una scuola e un'università come quelle che ci ritroviamo, grazie ai politici della prima repubblica ? Forse adesso, con la timida riforma Gelmini, ci sono le basi per qualcosa di meglio. E poi, Aldo, perchè tento pessimismo? Ti posso assicurare che nei miei 76 anni di vita ho visto periodi ben peggiori e tutto si è poi risolto. Ciao Roberto
RispondiEliminaCari amici, qui mi sembra che stiamo discutendo del sesso degli angeli: la questione della quale bisogna dibattere è se uno Stato debba distribuire a pioggia e senza valutazione risorse a chiunque dica di fare cultura e se la cultura debba reggersi unicamente sulle sovvenzioni statali.
RispondiEliminaA partire dagli anni ’80, se non già da prima, in nome della cultura, della libertà di stampa e di tutte le altre garanzie che la democrazia esige, compresa l’Università, l’insegnamento in genere e perfino ai Partiti e movimenti politici, si concessero sovvenzioni e finanziamenti a quanti li richiedessero, e tali finanziamenti andarono aumentando nel tempo col risultato che ciascuno dei beneficiari (Teatro, cinema, giornali...), si adagiarono su tali benefici. Sapete citarmi i titoli di 10 film degni di questo nome, o di opere teatrali originali messe in campo che negli ultimi dieci anni hanno visto la luce? La scuola ha toccato i livelli più bassi della nostra storia nazionale e sono decenni che una nostra opera cinematografica o teatrale non viene più esportata fuori dagli angusti confini nazionali.
Chi sarebbero i Fellini di oggi, i Moretti? Ed i nostri film, i cinepanettoni? I nostri attori, De Sica junior? Ma per piacere! Le sovvenzioni a pioggia, lungi dal favorire hanno distrutto il nostro bel cinema ammirato in tutto il mondo.
Allora, non si sta più parlando di cultura sulla quale siamo tutti d’accordo, qui si sta discutendo di soldi, di tanti soldi e di chi della cultura si fa alibi per reclamarli. Che si debba rientrare dal debito più alto del mondo, che ci sia una crisi mondiale che esige tagli, risparmi ed investimenti, va bene, purché non si tocchi il proprio orticello. E quando lo si tocca, eccoci a sbraitare ed a strapparci le vesti indignati perché si attenta alla democrazia, alla cultura, alla libertà, al futuro dei nostri figli.
Non mi risulta che i grandi teatri del mondo, vedi Broadway, si reggano su finanziamenti statali. Lì si produce e si guadagna, e la necessità di non morire stimola l’ingegno ed esalta la cultura.
Nella mia libreria c’è un’enciclopedia storica in 30 straordinari volumi edita dall’Università di Cambridge, estremamente ben fatta e tradotta in tutte le lingue del mondo, e non è la sola opera che sia uscita da tale istituzione. Quell’università si mantiene senza fondi statali. Sapete indicarmi una sola università italiana che abbia mai prodotto nel dopoguerra una qualcosa di simile o che abbia messo in campo un’iniziativa qualsiasi per autofinanziarsi?