Franco è fatto così. Ogniqualvolta si parla di sport lui prende e se ne va. Anche se nell’osteria si parla di freccette. Per non parlare poi del calcio: in questo caso sbatte la porta e ci vomita addosso qualche cosa di orribilmente malaugurante. Io per Franco non provo rabbia, ma pietas. Mi spiace che si privi di sentimenti tanto profondi che solo i drammi e i trionfi dello sport ti possono innescare.
Le prime lacrime le ho versate alla notizia che Roberto Bettega poteva finire anzitempo la carriera a causa di una polmonite. Era il 1972.
L’anno seguente sentivo la perdita di Renzo Pasolini e Jarno Saarinen come un lutto difficilmente elaborabile. Le immagini di Monza continuavano a frullarmi nella testa.
Ancora adesso mi riesce difficile guardare le immagini del Capitano Gianluca Signorini, bello come il sole nel prato del Ferraris.
Ma lo sport è anche poesia.
Come quella di Marco Pantani che si toglieva la bandana all’inizio della salita e si arrampicava con il turbo. E poi i pugni di Mike Tyson, la danza sul ring di Sugar Ray Leonard. L’imprendibile Pietro Mennea. La potenza di Alberto Tomba. E poi l’uomo che ha sconfitto la gravità, Michael Jordan. Un teatro incessante della vita, un turbinio di emozioni
Ma è inutile parlare con Franco. Un muro di gomma. L’altro giorno, però, pensavo di aver trovato il grimaldello giusto per fare breccia nella sua apatia. Era la scena di un giocatore di calcio della seconda serie inglese. Dopo un gol da antologia si toglie la maglia da gioco e mostra a tutti una maglietta con su impresso il viso di sua figlia, morta a due anni. Metaforizzando è l’agnizione finale delle tragedie dell’antica Roma, quando l’attore alla fine della rappresentazione, si toglie la maschera e mostra a tutti il vero volto (l’ho messa un po’ sul sofisticato, non si sa mai).
Glielo ho detto, a Franco. Laconica la sua risposta: “Ogni giorno decine di bambini muoiono di fame e di malattie banali”.
Eravamo seduti intorno al tavolo da Brunin.
L’ho guardato e mi è sorta spontanea una frase: “Franco... ma vaffanculo và”...
Allora devo andare anch'io dove hai mandato Franco, la penso esattamente come lui e avrei risposto la stessa cosa... mamma mia ora mi ca ti avrò perso come amico
RispondiEliminaA.L.
Sul palcoscenico della via ognuno di noi vive in modo diverso il personaggio che indossa. Specchi di noi stessi siamo.
RispondiEliminaLe priorità le stabiliamo noi. E nell’universo mondo ci stiamo tutti. Tu, io e persino Franco.
Mariaconcetta
quanto era bello la domenica mattina accendere la tivù per guardare Tomba che scendeva da discese pazzesche con quel suo corpo cosi da gladiatore mentre cucinavo pranzetti che lasciavano un profumo per tutta la casa ,e guardare il grande Baggio che dribblava tutti .Guardare il giro d'Italia sulle nostre dolomiti insieme a persone le quali si portavano la televisione sul lavoro per vedere Pantani ,Bugno e Miguel Indurain e la sua rabbia. Come quella volta che il ferro da stiro di mia mamma si bruciò per averlo lasciato acceso mentre io mio fratello e mia sorella eravamo troppo concentrati a gurdare la finale di un mondiale di calcio. Queste cose fanno parte di noi della nostra vita dei nostri ricordi ,banali forse ,ma per me sempre nuovi nel mio cuore e solo lo sport c'è li può dare. E ci aiuta a soppravvivere a tutte le cose brutte che ci circondano.
RispondiEliminae io invece non mi va di mandare a quel paese Franco,lui giustamente si è riempito,gli occhi,l'anima e il cuore di quegli occhi di bambini che gridano pietà,giustizia e pane...
RispondiEliminaCaro Aldo, chi non ha la capacità di staccare la spina per nutrire la propria anima delle piccole cose che possono dar gioia (lo sport, come la musica, il cinema, la lettura...), temo che difficilmente abbia la capacità di compenetrare appieno quei problemi che sembrano tanto preoccuparlo.
RispondiEliminaE’ solo un arrabbiato con tutti, ...a partire da se stesso.
il dolore è solo di chi lo vive in quell'attimo, domanda a Franco come si chiama il suo dolore; forse è apatico perchè sono più di cento i suoi dolori, forse sente sulla sua pelle la fame di quei 1000 e oltre bambini,forse Franco soffre più di me e di te.....non sappiamo il cuore degli altri ......quante lacrime versa ogni giorno e per chi.
RispondiEliminaBruna
Aldo caro so che sono fuori tema... Ma il bisogno di lasciare su questa pagina traccia di me é forte. L'assecondo. Grazie per la mia creatura qui accanto.
RispondiEliminaMariaconcetta <3
Ciao ALDO, l'apatia non è sempre un atteggiamento di scarsa partecipazione al dialogo, può anche nascndere situazioni interiori di grande sofferenza. Il teatro della vita colpisce i nostri sensi in modo abbastanza vario e ognuno risponde a seconda della propria predisposizione. Franco va compreso, ma è innegabile che ci sono fatti ameni e situazioni molto tragiche. Il mio sogno vorrebbe solo auspicare panorami piacevoli, ma nel mondo ci sono scenari che fanno riflettere.
RispondiEliminaBuon lavoro
Antonio Lanza