sabato 23 marzo 2013

Un consiglio a Berlusconi




“Intanto qualche ora gli restava. E qualche ora non sono un pezzo di vita? Avrebbe camminato da solo, ancora, fermandosi quando voleva, guardando quello che voleva. Sputando il resto del sigaro e grattandosi tra le scapole quando gli pareva”. Così si immagina le ultime ore di Umberto I il geniale Guido Morselli nel libro “Divertimento 1889”. Un affresco senza edulcorazioni delle piccole cose abbinate ai potenti.

Ecco, sarei proprio curioso di sapere che progetto di vecchiaia può essersi fatto un uomo come Silvio Berlusconi. Uno che ha sempre avuto un potere enorme (eccessivo, penso io, come tutti i poteri), e quindi inevitabilmente circondato più da serventi che da amici. Mi sono sempre chiesto se i mezzi – enormi - che mette a disposizione il potere facilitano quella necessaria selezione di valori ed affetti che ognuno in vecchiaia compie oppure se, viceversa, la impediscano.

In letteratura, le vecchiaie di molti re e principi assomigliano a vere e proprie infanzie ingrigite, curve e canute. Ma ve lo immaginate Silvio a giocare a scopone nel circolo dopolavoro degli ex parlamentari? Oppure andare a controllare i lavori di asfaltatura della strada provinciale di Segrate? O ancora andarsi ad anfrattare nei cinemini a luci rosse di periferia, assieme ad altri sodali? Chissà se gli mancherà questa fase della vita?

E invece è lì, impossibilitato anche a mettersi un paio di occhiali scuri, sempre circondato da guardie del corpo, frementi di rabbia repressa. Se avrà avuto occasione di leggere il libro di Morselli, invidierà un po' anche Umberto I.
Forse anche quella lettura può diminuire la sua smania di potere.
Perchè non ti fermi un attimo, Silvio e scrolli l'albero della tua vita? Vedrai che neanche uno dei frutti necessari che rimangono sui rami assomiglia nemmeno lontanamente a Brunetta.

E invece sei lì, costretto a non sputare per terra e nemmeno a grattarsi tra le scapole per non apparire nei titoli di Studio Aperto...

lunedì 18 marzo 2013

Grazie, Francesco




Da buon padrone di casa, è da una decina di anni che cerco di fare conoscere il mondo a mia figlia.
Da quando, cioè, ho contribuito a catapultare sull'universo quei due occhi azzurri pieni di curiosità.

Ho provato a spiegarle quanto meraviglioso possa essere il tramonto, quando il cielo si colora di oro antico, per poi virare nelle varie tonalità di grigio.
L'ho portata su uno scoglio, proprio sulla punta, in quella posizione spuria, tra l'igneo e il liquido, dove più forte è il subbuglio dell'acqua contro la roccia. Lei sembra aver capito il messaggio e mi ha stretto la mano, fessurando un po' gli occhi per meglio apprezzare lo spettacolo. “Che bello”, mi ha sussurrato alla fine, rompendo il silenzio solcato solo dalla risacca.

Ho provato a spiegarle quanto vicino a Dio possa portarti una pianticella di basilico, quando all'inizio di maggio nascono le prime foglioline. Ci alterniamo, io e lei, nell'abbeverare la nostra creatura, e ci perdiamo ore a vezzeggiarla e ad incamerare il suo profumo, ad occhi chiusi – questo perché lei è convinta che gli odori svaniscono, se solo tenti di guardarli.
Mi guarda con una severità eccessiva quando spezzo le sue foglie per farne il pesto. Forse ha capito meglio di me che quelle foglie possono accorciare la distanza tra il cielo e la terra, tra l'uomo e Dio.
Può sembrare patetico, lo so, ma non è così, amici miei.

L'impresa più ardua è stata quella di mostrarle un nostro simile che possa competere con un tramonto o con una pianticella di basilico. Una persona che le possa rendere più sopportabile, in futuro, la sua esistenza terrena.
È dieci anni che mi arrovello, provo con tutti quelli che penso possano suscitare in lei sentimenti assolutamente positivi. Lei dopo un po' si stufa e il suo sguardo prende la via più semplice, quella dell'I-Pad.
Forse aveva capito che neppure io ci credevo tanto; è incredibile quanto i bambini abbiano sviluppati ricettori sensibili a tutte le incrinature della voce.

Ieri stavo guardando la Tv e c'era un signore che parlava con un buffo accento straniero. Diceva cose semplici e tutti applaudivano.
Qualcuno piangeva, pure.
Di felicità, penso.
Mia figlia si è seduta di fianco a me, per tutta la durata della trasmissione. Alla fine mi ha preso la mano e me l'ha stretta forte. “Che bello, papà”, mi ha sussurrato.

Grazie, Francesco. 

domenica 17 marzo 2013

Predicare bene, razzolare male




E allora eccoci qua , a predicare bene e a razzolar male. Ma come, dico io, mi spertico a difendere il commercio al dettaglio, la grande suggestione delle piccole botteghe, il rapporto diretto con il vecchio besagnino o il barista Alfio e poi...

E poi mi ha fregato l'ingordigia di libri. Non l'amore per i libri, che è altra cosa. Mi ha fregato la voglia di aggiungere un altro titolo alla mia traboccante biblioteca. Ma che bisogno c'era? Che differenza faceva l'aspettare un paio di giorni in più? Non lo so, ma tant'è...

Sono passato per la seconda volta in una settimana dal mio libraio di fiducia. A dire il vero ci passo anche se non ho nessun libro in ordine. Ci passo per scambiare due chiacchiere o per attingere dalla sua inesauribile sapienza in capo editoriale. Ma quella volta volevo ardentemente avere tra le mani il libro che avevo ordinato - American Dust di Richard Brautigan -. Niente da fare, ripassa la settimana prossima, mi sono sentito ripetere.

Allora a casa, ho peccato di ingordigia. Ho visto il libro su un portale di vendita on line. L'ho visto lì, invitante, con tanto di recensione, sinapsi (il prezzo era addirittura più basso che in libreria). Tempo di consegna due giorni, comodamente a casa tua. E allora, click, l'ho fatto. Ho acquistato il libro per mezzo di un libraio virtuale, che non potrà consigliarmi la bravura di quello scrittore sconosciuto.

Con il mio gesto frettoloso penso di aver danneggiato il piccolo commercio locale. Di aver cancellato tutta quella suggestione che a me piace tanto.

Di questi tempi non sarà certo una colpa massima, ma pur sempre di colpa di tratta...

mercoledì 6 marzo 2013

L'importanza di un frullato




“Certo che è grave, non ve l'hanno detto?”. Certo, la dottoressa è stanca. Ha fatto la notte, è nervosa e i lineamenti della suo viso sono chiaramente appesantiti. Certo. Ed è altrettanto certo che io, Aldo Boraschi, non posso sapere in che grado di gravità galleggia mio padre. Quando la vita è appesa ad un filo, noi comuni mortali, non possiamo nemmeno immaginare quanto fragile sia, quel filo. Allora si prova a chiedere a quei dottorini giovani già pieni di sé (“Parlo solo dopo la visita”, dice, senza guardare altro che il suo nuovissimo I-Phone).

Il decorso post operatorio va bene, dicono. Quello che non va bene è tutto il resto: il cuore o quelle tre macchie nel cervello - “Ischemie”, specificano “è un rischio che si corre quando si è operati a quella età. Non ve l'avevano detto?”. No, nessuno ce l'aveva detto.
Quello che ci ha detto un bel giorno un medico dopo la visita – non ci siamo più azzardati a interloquire fuori dai paletti – è che mio padre, dopo qualche giorno poteva mangiare una specie di frullato di mela, di una marca sconosciuta, ma che a lui sembrava nettare.
Immaginatevi cosa è stato il pensiero di quel frullato in scatoletta per il signor Beppe, come se l’è dipinto, e quante volte se l’è pappato con la fantasia. E la sera, all’ora del passaggio del carrello, quando il cigolante arcaico trabiccolo della sussistenza si ferma al suo capezzale, la sorpresa: non ci sono più frullati. Non ci sono abbastanza frullati in dispensa per accontentare tutti i famelici degenti.

Un frullato non è niente. Ma proprio perché non è niente, trovo che sia imperdonabile che gli sia stato sottratto. Il mondo dove lui ha diritto di vivere, il sistema dove lui ha diritto di essere assistito – lui e chiunque altro, me compreso – non può dimenticarsi della povera cena del vecchio signore.

Curare è prendersi cura. E non ci si prende cura sbadatamente, ma avendo e prestando attenzione. Questa è la differenza tra la pubblica carità dei lazzaretti e un sistema assistenziale pagato con il sudore dei contribuenti.
Dimenticarsi di uno schifosissimo frullato non è ammissibile, non averlo in dispensa altrettanto. In un sistema civile – e ce ne sono, incredibile che possa sembrare, nel mondo ce ne sono – il direttore generale, avvisato dalla grave carenza, sarebbe andato lui a comprarlo e l’avrebbe consegnato al signor Beppe con mille scuse per il ritardo.

Può succedere, si dirà. C'è di peggio, si aggiungerà.
Peccato che abbiamo lavorato un paio di secoli per illuderci di aver costruito una società un pochettino più sofisticata di quella così ben narrata da Victor Hugo, Vasco Pratolini, Ignazio Silone...