lunedì 13 ottobre 2014

Una donna di Genova



Assai più dei loro uomini, le donne di Genova hanno fatto parlare di sé nel corso dei secoli. Hanno fatto innamorare una marea di forestieri e ne hanno fatto disperare in egual misura. Montesquieu si è spinto a giurare che fossero le più belle e le più fiere d’Europa.
Le donne di Genova. Che non vuol dire essere nate a Genova. Vuol dire transitare e sostare per un tempo abbastanza lungo sotto la Lanterna per essere plasmate indelebilmente dall'aurea femminea genovese.

Ieri sono andato a spalare il fango, anch'io come migliaia di altre persone. Ho fatto catene per svuotare cantine, ho cammallato conche di sporcizia, ho tolto con le mani pezzi di vetro dai tombini. Poi ad un certo punto del pomeriggio, mi sono guardato intorno – complice anche un mal di schiena dovuto all'incedere degli anni, lo ammetto. Chi non ha mai mollato un attimo il badile apparteneva al sesso femminile. Sono le stesse, mi hanno detto, che hanno sfidato l'onda di piena, hanno guardato in tralice il fango che veniva giù per le strade. Ora guardano quella melma con rabbia. E con dignità.

A dire il vero a faticare in mezzo al fango c'erano anche extracomunitari, anziani e bambini – uno addirittura con paletta e secchiello più adatti ad una spiaggia che a quell'inferno.

Ma non è di questo che voglio parlare. Voglio parlare di storie di donne, donne di Genova. Come quella che riguarda Maria, una anziana donna che abita in Borgo Incrociati a pochi passi dal torrente Bisagno. Era in Corso Torino, dove anche noi di Lavagna prestavamo soccorso. “Oramai la mia casa è a posto, vengo qua, dove hanno bisogno di braccia”, me lo ha detto con un sorriso, in risposta al mio sguardo sbalordito. Abbiamo diviso una sigaretta e un panino con la mortadella, poi lei ha attaccato a parlare della sua vita. Era piccola quando c'erano i tedeschi con la loro parlata secca e gutturale. Maria ha preferito andare con i banditi, in mezzo ai monti del genovese. Ci avrei scommesso. “Ho fatto la guerra, vuoi che abbia paura di due gocce d'acqua?”. Quando mi sono avviato verso la stazione, l'ho cercata per salutarla. Era in mezzo agli Angeli del Fango, con la sigaretta pendula e l'eterno sorriso. Mi ha riconosciuto e mi ha salutato con una nenia che sembrava un fado “Una mattina mi sono svegliata e ho trovato l'invasor...”. Poi ha riso, buttando la testa all'indietro.

Queste sono le donne di Genova. Quelle che affrontano l'emergenza con dignità. E lo fanno con quello sguardo che non ti dà scampo. Con la stessa cristallina fermezza che hanno negli occhi quando guardano i cartellini dei prezzi di un besagnino di Castelletto; le guardi di sottecchi e non vorresti essere nei panni del promotore finanziario che ha osato provarci a tirarle il pacco.

Come puoi non amarle, le donne di Genova? E mi chiedo se quel fango gridi vendetta per questa città e se questa città abbia mai chiesto vendetta.
Oppure si aspetti solo giustizia. Come quella che chiede Maria, che probabilmente sarà in qualche scantinato a raccogliere merda con il sorriso sulle labbra.
Ciao, bella.
Bella, ciao...