mercoledì 23 maggio 2012

L'altra rivoluzione di Grillo




In mezzo al bailamme di carte, delibere e convocazioni stampa, nel bel mezzo della mia pseudo scrivania – sedimentato in fondo al rapporto sulla popolazione di Parma e provincia – ho ritrovato il programma del centrosinistra datato (penso, ma non sono sicuro ) 2004: un faldone dal volume irragionevole. Facendo un rapido rewind mi sono ricordato i vincenti di quell’epoca. I programmi si risolvevano in qualche pieghevole, contenente più che altro illustrazioni che facevano da corredo a slogan di una banalità infantile – quasi irritante.

Non so chi lo disse – penso addirittura Pippo Baudo una ventina di anni fa – che si vince o si perde, in politica, con cinquecento parole. Non una di più. Quella frase provocò in me, già allora, un sorrisino di saccenza. Questo perchè avevo ancora ben impresse in mente le riflessioni di Don Lorenzo Milani, colui che disse più lucidamente, più disperatamente di altri, che la sconfitta dei poveri sta tutta nel loro risicato vocabolario. E lo strapotere dei ricchi nella loro cultura.

Il vincitore di oggi è un comico che ha cominciato la sua ascesa – che pare inarrestabile – con comizi in tutta Italia infarciti della parola chiave del suo programma: vaffanculo.
Non cinquecento, ma una singola parola.
Con quella si può vincere, lo ha dimostrato Grillo.
Con un “vaffanculo” ha smentito storicamente Don Milani.

Stiamo parlando di un miliardario – perchè Grillo, è bene saperlo, è ricco -, un nullatenente culturale che per arrivare a mettere insieme cinquecento parole deve convocare il congresso nazionale.

Chi ha troppe parole per la testa oggi non appare più libero e invidiato, ma zavorrato e deriso come un somaro. A meno che non sappia simulare una applaudita ignoranza (Bossi? Di Pietro? Celentano?). Resta da capire – e non è domanda da poco – che cosa si vince e che cosa si perde. Quale distanza c’è tra successo e dignità. Tra potere e verità.

E se uno volesse prendersi il lusso di fare in pubblico domande del genere, cinquecento parole non basterebbero nemmeno ad alzare la mano...

martedì 22 maggio 2012

Cabal(l)e politiche




Oh là: dopo due settimane di battaglia sui programmi, veti incrociati, improbabili apparentamenti, non c’è nulla di meglio che andare a prendersi un caffè macchiato – e un bicchiere di acqua frizzante – al bar. Ma anche lì, gira che ti rigira i frettolosi clienti la buttano sulla politica. Sui grillini e sulla novità e su Parma che ora è allo sbando e che ora “come faremo a tirare avanti con tutti quei debiti”. Si parla anche lì di politica, insomma. E i toni sono tutt’altro che salottieri.

C’è chi dice che il clima politico della nazione sia avvelenato. Non lo credo: a mio parere il clima politico è putrescente, in avanzato stato di decomposizione, certamente a causa di retrocedenti avvelenamenti. E quando un cadavere sfatto si alza in piedi e non si chiama Lazzaro, fa orrore, e se poi non riesce neppure a fare il suo dovere di zombi, fa ridere. un sentimento che evoca il personaggio che va per la maggiore a Parma come nel resto d’Italia. Un comico.

Ma non mi voglio impelagare in queste discussioni (ne avrò abbastanza in redazione). Già ci pensa la vita a partire dal quarto, quinto minuto di veglia mattutina a tartassarmi bene bene, e quando vado in piazza o al bar  cerco di compiere l’ignobile operazione dello straniamento alienante. Vado, codardamente, in cerca di evasione. Appartengo al ceto pop. Per niente intelletual, e manco chic.

Qualche parola, però, l’ho dovuta scambiare. Discutevo con due politici, ma di secondo piano: un vecchio militante della sinistra, appartato e silente e un redento della destra, meno discreto - di autonomi incappucciati, nemmeno l’ombra; e questo forse andrà riferito al preoccupato ministro dell’Interno che ne dia notizia al preoccupatissimo Dipartimento di Stato -. Con i due simpatici avventori la piega che ha preso il discorso si potrebbe catalogare alla voce “addossamento di colpe e affini”. E via a parlare di congiunzioni astrali, colpe ancestrali, misteriosissimi complotti. Alta ginnastica politica da Komintern.
Le parole spese al bar, ricalcano pedissequamente le dichiarazioni dei maggiori politici italiani su tutti i giornali.

Non è stato Cortéz, ci dicono gli storici, ad aver conquistato un immenso Paese in virtù della crudele volontà sua e dei suoi settecento masnadieri, ma la melanconica, fiacca, irresolutezza dei saggi dell’impero, dediti a leggere negli avvenimenti le cabale di profezie da essi stessi inventate per evitare il giudizio sul loro declino...

martedì 8 maggio 2012

Il "vaffa" che parte da Parma




L’altra sera lo confesso ho fatto un sogno strano. Lasciando da parte l’inconscio erotico, la mia follia onirica ha preso i binari politici. Un incubo. Questo dice qualcosa sulla gravità della situazione, la mia personale intendo, e forse di quella generale.

Dunque, vediamo: ero assieme ad un gruppo di amici di sinistra, accoccolato per terra essendo tutti i posti a sedere occupati.
Vengo chiamato a parlare, ma non riesco neppure ad alzarmi: sono confuso, non mi viene in mente niente da dire, se non sconnesse articolazioni foniche, per nulla comprensibili. Biascico di sinergie, sistemi proporzionali e anatra zoppa. Un signore sconosciuto – con un dito di barba e un pacco di giornali sotto il braccio -  mi strattona perché vada a parlare al centro della stanza. Ma io non ne voglio sapere e resisto. In questo stato è dunque ridotto il mio inconscio, che perverte l’onesto lavoro onirico in una non richiesta proposta di editoriale politico.

Cosa penso dunque mentre dormo – invece di lasciarmi andare ad infantili sogni erotici? Penso che la sinistra non ha più il problema di comunicare con i suoi simpatizzanti, il suo popolo, come dicono. Se c’è una cosa che oggi i suoi dirigenti politici ardono dal desiderio di fare è proprio questa. Ma la sinistra ha un problema nuovo: è il suo popolo, adesso, che si rifiuta di comunicare. Che non trova più niente da dire, che non è interessato a dire alcunché, e si rifiuta alla comunicazione. Lo penso di notte e lo credo di giorno. E se nel sonno penso alla sinistra, perché è lì che il mio dente duole, è perchè proprio vicino a me sta partendo una rivoluzione. A Parma i grillini sono andati al ballottaggio. Loro sì, giovani e inesperti. Loro sì, vera svolta. Loro sì in mezzo alla gente. Gente in mezzo alla gente.

Quando il popolo, e il popolo sono i cittadini, decide di non aver più niente da dire ai loro politici, la situazione è grave. Non c’è niente di peggio e di più pericoloso del rifiuto muto. È meglio persino il “vaffa”, anche se è il livello più basso possibile della comunicazione. Rimane pur sempre uno spiraglio, un’opportunità. Lo sanno benissimo le coppie in crisi; a un “vaffa” ci si può aggrappare, disperatamente, per un ultimo tentativo, ma il silenzio è irreparabile.

Per questo credo che il signor Beppe Grillo – che lui lo voglia o no, lo pensi o non lo pensi - sia un’opportunità, una minima estrema opportunità, data alla politica; e forse anche ai politici. Anche se questi non lo capiscono e non lo capiranno, temo, perché privi degli strumenti intellettuali, dell’elasticità di pensiero, per capire. La classe dirigente politica è stata selezionata usando i resti di una cultura, gli avanzi dell’epoca che l’ha generata. Pensate, alle ultime elezioni si è votata addirittura da sola, essendo i cittadini impediti a scegliere gli uomini, e le poche donne, da eleggere. Ma il vento è cambiato. Sta cambiando. Da Parma...