In mezzo al bailamme di carte, delibere e convocazioni
stampa, nel bel mezzo della mia pseudo scrivania – sedimentato in fondo al
rapporto sulla popolazione di Parma e provincia – ho ritrovato il programma del
centrosinistra datato (penso, ma non sono sicuro ) 2004: un faldone dal volume
irragionevole. Facendo un rapido rewind mi sono ricordato i vincenti di
quell’epoca. I programmi si risolvevano in qualche pieghevole, contenente più
che altro illustrazioni che facevano da corredo a slogan di una banalità infantile
– quasi irritante.
Non so chi lo disse – penso addirittura Pippo Baudo una
ventina di anni fa – che si vince o si perde, in politica, con cinquecento
parole. Non una di più. Quella frase provocò in me, già allora, un sorrisino di
saccenza. Questo perchè avevo ancora ben impresse in mente le riflessioni di
Don Lorenzo Milani, colui che disse più lucidamente, più disperatamente di
altri, che la sconfitta dei poveri sta tutta nel loro risicato vocabolario. E
lo strapotere dei ricchi nella loro cultura.
Il vincitore di oggi è un comico che ha cominciato la sua
ascesa – che pare inarrestabile – con comizi in tutta Italia infarciti della
parola chiave del suo programma: vaffanculo.
Non cinquecento, ma una singola parola.
Con quella si può vincere, lo ha dimostrato Grillo.
Con un “vaffanculo” ha smentito storicamente Don Milani.
Stiamo parlando di un miliardario – perchè Grillo, è bene
saperlo, è ricco -, un nullatenente culturale che per arrivare a mettere
insieme cinquecento parole deve convocare il congresso nazionale.
Chi ha troppe parole per la testa oggi non appare più libero
e invidiato, ma zavorrato e deriso come un somaro. A meno che non sappia
simulare una applaudita ignoranza (Bossi? Di Pietro? Celentano?). Resta da
capire – e non è domanda da poco – che cosa si vince e che cosa si perde. Quale
distanza c’è tra successo e dignità. Tra potere e verità.
E se uno volesse prendersi il lusso di fare in pubblico
domande del genere, cinquecento parole non basterebbero nemmeno ad alzare la
mano...