martedì 22 dicembre 2015

Lettera a Gesù Bambino




Questa è una piccola preghiera di Natale che voglio idealmente mettere sotto il piatto di tutti i miei lettori.

Caro Gesù Bambino, siamo qui in attesa che qualcuno apra finalmente una stalla per poter permettere a tua mamma di partorire e tu possa nascere. Lo stiamo facendo in allegria, come tu stai vedendo, perché sappiamo che, nonostante tutto, sarà un parto felice. Inutile dire che siamo ansiosi di vederti al lavoro, perché qui, come hai potuto vedere, di lavoro ce ne è tanto. Ma proprio tanto. Quindi hai poco tempo da perdere, mettiti al lavoro. Sin da ora – quando ancora i Re Magi si stanno chiedendo dove diamine si sia posata la stella cometa – comincia ad esercitare la Tua immensa pietà, la Tua sovrana giustizia, la Tua divina saggezza.
P.S: Avrai già visto i Re Magi, grazie alla Tua infallibile preveggenza: ebbene lascia perdere quello con la felpa, quello è Salvini, poi ti spiegherò in privata sede, se vorrai.

Abbi pietà, o Gesù Bambino, di tutti gli impiegati di banca che hanno consigliato ai pensionati di acquistare carta straccia al posto di azioni bancarie. Ma giudica severamente, o Gesù, quelli che li hanno obbligati a fare questo brutto gesto. E sii più severo con coloro i quali licenzieranno questi impiegati per pagare le conseguenze di azioni che loro stessi hanno imposto. Non avere pietà, o mio Signore, di chi dice: così va il mondo, perché questo è solo il mondo come vogliono loro. E non avere pietà dei sindacalisti che non hanno più bisogno di bussare alla porta del direttore generale, ma non sanno più come entrare in un ufficio per lavorare.

Non farla passare liscia a chi dice che la ricchezza del mondo è dentro ai listini della Borsa e abbi pietà invece per le vacche che fanno latte, i campi che fanno grano, gli alberi che fanno i frutti perché sono diventati carta per accendersi i sigari nelle trattative tra i colossi della finanza.

Giudica severamente, o Gesù Bambino, i soldati del Male dell'Isis, per tutte le atrocità che hanno fatto al loro popolo e agli altri. Ma altrettanto severamente giudica i suoi giudici, che li hanno cullati nel loro nascere, che gli hanno dato le fiale del veleno e i proiettili dei loro cannoni. Non transigere, Signore, con chi produce e usa armi contro i tuoi figli. Sai bene, Tu che tutto sai e tutto puoi, i loro nomi. Sii inflessibile con chi si arricchisce con la miseria altrui, con chi dice: così va il mondo, e quel mondo l'ha costruito lui.

E infine abbi pietà di noi, che siamo qui a nutrirci di frutti di una terra e del lavoro di uomini che non saranno chiamati alla nostra tavola.

P.S: Se ti avanzano cinque minuti butta il Tuo occhio benevolo e misericordioso anche sul Genoa, che di questi tempi non se la sta passando bene. Per referenze chiedi a Don Gallo...







lunedì 21 dicembre 2015

Il calcio che vorrei



L'allenamento è finto. C'è nebbia, nebbia fitta, come un muro bianco che copre il campo. Fango, terra e sassi. Giamma si ferma a guardare quel rettangolo marrone. Guarda il fango, la terra e i sassi che gli hanno fatto uscire il sangue dalle ginocchia, che gli sono entrati dentro alla scarpe, dentro alla vita. Pensa a quella molla maledetta che gli fa in iniziare ogni anno un nuovo campionato, anche quando le primavere sono tante.
Non stiamo mai insieme”, dicono moglie e figlie.
Meglio il calcetto”, dicono gli amici del bar.
Pensa al lavoro”, dicono i genitori.

Giamma ci pensa e sorride. Ma che ne sanno loro di cosa significhi il calcio, quel calcio.
Che ne sanno loro della tensione del sabato sera, quando la domenica si gioca la partita dell'anno. Che ne sanno loro di che cosa si prova quando quello che ha segnato viene ad abbracciare te per primo. Che ne sanno della tensione di quando il mister annuncia la formazione e la maglia numero sei è la tua, ancora una volta. La fascia da capitano stretta la braccio.

Che ne sanno loro? Che ne sanno delle corse che hai fatto per non saltare l'allenamento e quando arrivi sono tutti in circolo al centro del campo a sentire il mister che spiega gli schemi. Che ne sanno di quel gol che hai salvato sulla linea tanti anni fa ma te lo senti addosso come se lo avessi fatto cinque minuti fa. Che ne sanno loro. Che ne sanno loro di come si sta quando sei 1 a 0 a cinque minuti dalla fine. E delle lacrime calde che sgorgano quando loro segnano proprio quando oramai ti sentivi sotto la doccia. Che ne sanno di come riesci a capirti con un compagno di squadra con uno sguardo che dura come il gemito di una puttana. Che ne sanno loro? Che ne sanno della fatica che ti blocca i polpacci alla mezzora del primo tempo, ma tu stringi i denti e arrivi sino alla fine e piuttosto di chiedere il cambio ti faresti amputare i testicoli. Che ne sanno del dolore che provoca un calcio negli stinchi e del dolore che si prova dentro all'anima quando segna l'uomo che dovevi marcare. Che ne sanno dei calci che hai dato e delle gomitate che hai preso in mischia, lì al centro della tua area. Che ne sanno delle strette di mano sincere con i tuoi avversari, della sicurezza che ti dà la prima entrata in scivolata sulla palla, di quanto sei stremato dopo il decimo giro di campo. Che ne sanno loro?

Che ne sanno loro di quanto sei sfinito quando arrivi agli scatti prima della partitella e non ce la fai ma ti appoggi spalla contro spalla con i tuoi compagni e si arriva tutti insieme alla fine, e sei tanto stanco che nemmeno riesci a sputare per terra. Ma nessuno si è fermato, nemmeno un secondo. E quando il mister dice che per stasera va bene ti abbracci con il primo compagno che hai davanti a te; un abbraccio muto che vuol dire ti voglio bene. Che ne sanno delle tue scaramanzie, delle docce fredde, di quanto ami questo sport.

Terra, fango e sassi. Dieci persone al tuo fianco e undici davanti a te. Un fischio lungo e secco, il pallone che compie un paio di giri e torna velocemente indietro. Ok, si può iniziare. Le maglie si mischiano. Questa è la tua vita.

Ma che ne sanno loro, eh Giamma?...


venerdì 11 dicembre 2015

Il sesso dei preti




“Tu che fai tanto il mangiapreti...e in ogni romanzo ci metti una tonaca”. Mi sono sentito picchiettare sulla spalla e rivolgere questa frase. Proprio ieri, proprio a me. Ho sorriso come un ebete come mi capita quando sono preso in castagna. Sono andato a casa e ho sfogliato i i miei romanzi. È vero, tutto vero. Ho pure fatto la prefazione entusiastica di uno scritto di un cardinale del Seicento (Jean Francois Paul De Gondi-La Congiura dei Fieschi Ed. Rupe Mutevole).

Perché faccio di tutto per infilare un prete, una chiesa, una canonica in ogni scritto?
Perché? Un rovello ha infastidito il mio tranquillo pensare per tutto il pomeriggio. E sono arrivato ad una conclusione: perché trovo i preti persone interessanti. Ecco perché.

Interessanti per la tensione e l'altezza della discussione che mi costringono a tenere quando discutiamo (e discutiamo spesso). Perché quando mi imbatto con loro me ne torno a casa con la sensazione che se mai questo Paese conoscerà – per dirla alla Mazzini – un Risorgimento spirituale, politico e morale che lo emancipi dalla fogna dove si è ridotto a consumarsi, sarà anzitutto da quei luoghi che potrà aver inizio. Questo perché loro hanno quello che è essenziale e che oramai manca in ogni altro dove: il libro, la voce e il luogo. Loro hanno i Testamenti, la voce per annunciarli, il luogo per praticarla.

Ma oltre a trovarli interessanti devo confessare che sto bene con loro e mi trovo a mio agio nelle pievi, urbane e silvestri e post industriali che siano. Posso dire di essere amico dei preti e di sentirmi a suo agio con loro. Proprio perché siamo amici, quando ci incontriamo, troviamo sempre il tempo per fare quattro chiacchiere senza nessun obiettivo, terreno o celeste che sia. Ci raccontiamo le nostre private esistenze. E in questo non ho mai avvertito una qualche alterità, o distanza o censura. Parliamo liberamente, io stesso racconto di me in assoluta libertà. E mai ci capita di parlare di sesso. Mai. E solo perché non è un tema che noi riteniamo interessante. Ma non lo è mai, quando lo è vissuto con la naturale serenità che si merita. Parlavo con loro e loro sapevano di me anche un paio di anni fa quando l'unione con la mia compagna e madre di mia figlia non era vincolata da nessun matrimonio, ma questo non è mai stato oggetto di nessun imbarazzo.

Nemmeno nel Vangelo si è parlato granché di sesso. Anzi non se ne parla quasi mai. Non sappiamo nulla della vita affettiva di Cristo e dei suoi discepoli. Sappiamo che tra i discepoli del Cristo c'erano delle donne, e chi tra loro più lo ha amato – amato al punto tale da sfidare la legge e i soldati per andare al sepolcro – era una Donna. Gli altri, gli uomini, si diedero alla macchia. Qualunque sia stata la vita affettiva e, nel caso, sessuale, di Cristo è stata così naturalmente serena da non meritare menzione. Sono altre le questioni che il Cristo si è premurato di porci come pressanti.

Eppure non posso dimenticare la morbosa insistenza con la quale, nella mia infanzia, i preti mi raffiguravano una vita di peccato se solo pensavo al sesso. Al punto di provare a convincermi che io stesso e il mio corpo eravamo la fonte di tutti i mali e la causa della perdizione nelle fiamme dell'inferno.

Infatti, non dimentico. E so bene che la chiesa cattolica è ancora in gran parte preda dell'ossessione sessuofobica che si è consumata nella grande ipocrisia della castità, di cui ha smarrito senso e ragione. Cristo disse che la castità è delle colombe. E le colombe non sono né astinenti, né celibi, ma innocenti. E ancora so che gli scandali sessuali che si stanno consumando e ancora si consumeranno in futuro, nascono in questa ipocrisia, nella costrizione, nell'inumana difficoltà di un prete di non potersi beare dell'affettività femminile. E tutto questo per un'imposizione dottrinaria che nulla ha a che vedere con i Libri Sacri.

C'è anche dice che gli scandali sessuali ed economici, avranno sulla chiesa un impatto simile alla Riforma Protestante.

E credo, e spero, che sia un'ipotesi plausibile: mi fa un gran piacere sapere che tra i miei amici posso annoverare tanti Martin Lutero sparsi per le pievi ai confini di un marcescente impero...

sabato 21 novembre 2015

I giornali in tempo di guerra




C'è un conto che non mi torna.
I giornali e le televisioni che ci invitano ad attrezzarci per la catastrofe, ad organizzarci per una vita di stenti, di terrore e sangue, non sono forse gli stessi che non molti anni fa ci infarcivano la mente di top manager, top model, top segretari di partito e luccicavano d'oro e di successo?

Sì, sono gli stessi.
Non ho mai capito, pur lavorando per anni nel settore, se e in quale misura sono loro ad influenzare gli umori del paese e se e in quale misura ne sono influenzati.

Diciamo, in estrema sintesi, che non mi fido più. Non mi fidavo quando i media raccontavano di un paese in cui dovevamo stare sereni, che la strada imboccata era quella giusta e non fido ora che ci descrivono poveri e angosciati.

Nella realtà ho capito che molti di noi dovranno ridiscutere, forse drasticamente, consumi e tenore di vita.


E ho deciso che il primo taglio sarà destinato al consumo di giornali e televisione...

martedì 17 novembre 2015

L'abitudine all'orrore



Odio, guerre, bombe, lacrime, polvere, ospedali in fiamme, asili fatti saltare in aria.
Voglia istintiva di polverizzare il telecomando, come unico baluardo dell'autodifesa. Ma tutto contrasta con il modernissimo tabù “dell'uomo che deve sapere, che deve essere informato”.

Il tabù vince e il televisore resta acceso. Ne consegue che la sindrome dell'angoscia da persona informata non è stata ancora debellata e miete le sue vittime a miliardi.

Più della quantità di cattive notizie, preoccupa la qualità della comunicazione.
Ci mostrano tutto, e non c'è carica di dolore che non esploda nelle nostre cucine e nelle nostre teste, così, senza filtri. Non c'è nessuno levetta, in questo mostruoso videogame truccato che ci permetta di interferire, di cambiare qualcosa.

Paradossalmente, eventuali intenzioni “civili” del comunicatore di turno (ti mostro gli orrori del mondo per spingerti a reagire), rischiano di ottenere l'effetto contrario: la spettacolarizzazione dell'orrore inchioda il telespettatore alla sua totale impotenza.
La lotta è impari tra il Grande Male Mondiale e i nostri tinelli.

Così nasce l'unico anticorpo possibile: quello dell'abitudine.
Se ci pensate bene, amici miei, siamo già abituati...


sabato 14 novembre 2015

Il mondo dopo Parigi




Accendo e spengo la Tv, per tutta la notte. La spengo quando tra me e quello di orrendamente vero che sta accadendo si frappone uno spot sui lassativi: sono disposto a molto, questa notte, ma non a questo.
Quello che sto osservando accadere è qualcosa di simile alla fine del mondo. Il mondo dove sono nato si sta dissolvendo nei fermi immagine della strage di Parigi. Finita la fase dell'informazione dovrò chiedermi come sopravviverò a quello che verrà; e come sopravviveranno le persone a cui voglio bene e quel brandello di mondo che finora avevo stimato, rispettato e amato.
In un paio di ore si è scatenata e conclusa una guerra mondiale.
L'Europa è stata attaccata e sconfitta. Quello che potrà fare, da ora in poi, sarà solo vendicarsi e in qualunque modo lo farà, i conti non torneranno mai.

Nella carneficina di Parigi, non è morta soltanto della gente, tanta gente, ma è morta qualunque speranza di una sistemazione civile del mondo. Non è stata attaccata solo Parigi, la Francia, l'Europa, ma il mondo intero. Il mondo civile, quello che desiderava libertà, dignità, uguaglianza, pace. Quel mondo che domani non avrà più voce.

Ha vinto l'Impero del Male. Quello vero, non quello delle ossessioni che ci hanno voluto fare credere che sconfitto nazismo, fascismo e comunismo tutto si sarebbe appianato, e una nuova Era di pace sarebbe iniziata. Non so se l'Impero del Male abbia un presidente, ma c'è da chiedersi, invece, come si sia potuto creare quell'uomo, lasciarlo vivere e prosperare. Un uomo che vince contro il mondo intero. Incredibile. C'è riuscito perché lui, e tutti i suoi ministri e dignitari, si muove nelle sentine e nelle fogne dell'intero pianeta.

L'ha fatto impunemente perché l'Impero del Male non ha né un paese, né un popolo.
La sua guerra è contro la vita; la vita di tutti tranne la propria.
Ha in odio la giustizia, qualunque possibilità di giustizia.
Non ama nessuna causa, se non la propria.


Chi ha scatenato la guerra, sa bene che da domani non ci sarà nemmeno un cittadino del pianeta che penserà serenamente alla propria vita, ma è altrettanto vero che nessun bambino, donna o uomo arabo potrà esser sicuro di arrivare a sera vivo.

E nella nostra società, nessun pacifista potrà pronunciare la parola pace a voce alta. Nessuno potrà chiedere che la giustizia sia anteposta alla vendetta. Questo è il nuovo mondo che ci consegna l'Impero del Male.
Non posso credere che sia opera di un folle, non posso credere che la civiltà sia così debole da essere spazzata via da uno sceicco miliardario.

Forse, invece, è così.
Forse chi ha governato il mondo lo ha fatto così stupidamente da consegnarlo nelle mani del terrore e del male. C'è almeno la metà dell'Universo che guarda gli schizzi di sangue di Parigi con indifferenza; qualche milione, potete scommetterci, starà brindando. È il mondo di fuori, quello che dal mio mondo non ha mai avuto niente di buono, né ha mai potuto aspettarsi una buona notizia per sé. Il mondo dei disperati e dei senza futuro a cui non abbiamo saputo dare nulla di quello che stiamo perdendo oggi. Né pace, né dignità, né benessere.

Le prime vittime dell'Impero del Male saranno loro…



venerdì 13 novembre 2015

Che tempo farà?




Si aggirano tra gli scogli come tanti zombi, si danno di gomito, allargano le braccia e alzano gli occhi al cielo.
Ma come è possibile che in riva al mare ci sia nebbia, si chiedono? No, dico, non quel velo impercettibile che ha stimolato la penna di tanti scrittori e il pennello ad altrettanti pittori. Nebbia: muro bianco che da Santa Giulia va a lambire gli stabilimenti balneari della costa. Ecco: tipico scenario padano, per intenderci.

Nessuno sa dire con certezza se le bizzarrie del tempo siano dovute alla scellerata azione degli uomini o dipendano da cicli climatici ricorrenti. La sola cosa certa è che l'esposizione dall'umanità alle intemperie e alla brutalità degli elementi è fortissima, persino nella società a tecnologia avanzata. Il maltempo ci ricorda, diverse volte nel corso dell'anno, che la partita con la Natura si gioca all'aperto: anche se le nostre case sono robuste, strade, ferrovie, sono esposte al cielo.

Sotto i lampi e le bombe d'acqua, davanti alla nebbia marina, al riparo dai venti che spirano a cento all'ora e all'ombra dei quaranta gradi estivi, rifletto.

La Natura che rialza la voce, indomabile e despota, ci ricorda che la nostra avventura è ancora in corso.
Che niente è conquistato per sempre.
Che apparteniamo indissolubilmente alla Terra, dalla quale dipendiamo assai più di quanto essa dipenda da noi.
Ed è questa la nostra vera e grande fortuna...




mercoledì 11 novembre 2015

Ora Basta!




Adelmo è un brav'uomo. Niente da dire. È che si prende un po' troppo sul serio. E tira in mezzo anche i suoi amici. Ma io non ci sto, non oggi che ho le palle girate.

Non venirmi a dire la solita cazzata: se tutti facciamo qualcosa, tutti insieme, qualche cosa risolviamo.
Tutti insieme cosa? Chi?
Va bene, spengo tutto di notte, così anche i led vanno a dormire e si consuma di meno. Ma se non lo faccio non mi puoi dare la colpa del destino cinico e baro che porterà l'universo alla distruzione. No, non ci casco, Adelmo.

Sono i grossi a fare le differenze, Adelmo. Sono le politiche ambientali, industriali. Sono i cinesi e gli indiani, che vanno a carbone, petrolio e letame, a fare casini. E le loro industrie fuorilegge. Sono le acciaierie delocalizzate nei paesi privi di controlli, le centrali nucleari antiquate, i regimi consenzienti. È questo a fare il buco in quel cazzo di ozono, a creare effetto serra, a farci respirare veleni.

Perché vuoi sensibilizzare me? Se getto una carta a terra mi sento un coglione. Avete fatto in modo, tu e i tuoi amici integralisti, che mi senta in colpa se non raccolgo la merda che il cane lascia per strada.
Non va bene, perdio! Non va bene! È da quando ero piccolo che mi stanno a sensibilizzare. Sono ipersensibile ora. Manco fossi uno svizzero. Tengo più alla foca monaca che a me stesso. Basta!

Sostengo Emergency, il WWF, l’Unicef, l’Amnesty, l'Irpef, l'Ilor, la ricerca sul cancro, la ricerca sulle malattie genetiche, la ricerca sulle malformazioni, la ricerca sulla ricerca. Anche Albano mi dà lezioni, lui che disboscato mezza Puglia per farsi una casa: l'altro giorno mi ha praticamente obbligato a fare una Sms. Va bene: un sms per le fibrosi, un sms contro le fibrosi, uno per i bambini, l'altro per le vittime della mafia, uno per la riabilitazione dei mafiosi. Mi sono fatto un terrazzo pieno di azalee, mangio le arance anche se mi fanno schifo, mi sono rimpinzato di cioccolata equa e solidale, ho bevuto ettolitri di pessimo caffè fatto con le proprie mani da minorenni supersfruttati, ho comprato quintali di Parmigiano fallato dal terremoto. Ho firmato per la droga, ma loro nemmeno una canna mi hanno dato: e questa è giustizia, Adelmo?

E il senso civico dove lo mettiamo, eh? L'impatto zero, la carta igienica riciclata, il filtro antiparticolato, il rispetto delle stagioni, il giorno della Memoria, il giorno della Pace, il giorno della Marmotta. E un minuto di raccoglimento per il Darfur, che sulle prime pensavo fosse una specie di Silicon Valley delle caramelle che ci piacevano tanto. Va bene ricordiamo anche il Darfur e subito dopo facciamo una donazione per costruirci un ospedale (ma perché non dona qualche spicciolo anche il G8?).

Manco posso fumare in pace, perché se nel giro di due chilometri c'è una donna incinta mi prendo un avviso di garanzia per omicidio colposo. Sono sensibilizzatissimo, non ti preoccupare, Adelmo: guardo con Google Earth e se intravedo un ventre tondo ingoio la sigaretta accesa.
Ma adesso mi fate pensare pure un po' a me? Mi avete triturato anima, maroni e portafogli con questo continuo bombardamento sociale.
Mi sento sempre inadeguato. Avverto il peso del riscaldamento globale, delle morti bianche, dell'aumento delle tasse e delle cazzate di Renzi.
Ora basta.

La crema spalmabile alle nocciole e anacardi equa e solidale salverà pure tanti bambini pieni di mosche in qualche posto sperduto dell'Africa, ma è improponibile.
La Nutella è più buona.
Quella che viene dall'Africa sembra segatura dolce: fa schifo...


martedì 3 novembre 2015

Ciao Vicio...



Ma come avrà fatto, Vicio ad essermi presente in tutti questi anni.
A me, che me lo ricordo nel mio immaginario in braghette e maglietta da calcio, senza mai essere invadente? Ad assaggiare la vita in tutto il suo rigoglio (era bello, educato e aveva un sinistro da far paura) senza mai apparirmi superbo, o volgare?
È come se tutto gli fosse passato addosso per caso, per fatalità, per fortuna: così mi diceva il suo sguardo sornione, che gli anni non avevano ancora ingabbiato in un reticolo di rughe.

Poche uscite, poche parole, tanto amore verso i figli, tanto affetto agli amici, tante serate da Beppe. Troppe delusioni. Ma lui rispondeva sempre con un sorriso. Anche negli ultimi tempi, come se fosse un guanto di sfida nei confronti della morte.

Quando ho saputo che era morto il mio primo pensiero è stato un afflato infantile: mi è dispiaciuto che mia figlia non lo abbia conosciuto, perché ancora troppo piccola.

Non posso spiegarle niente, non ho le parole (anche se è di queste che mi cibo) per descrivere quell'uomo che aveva in fondo agli occhi lo straordinario dono della misura.

Ciao Vicio, che ti sia lieve la terra...


venerdì 30 ottobre 2015

Salim guarda il mare




Salim guarda il mare.
L'ho trovato lì, sul lungomare, quando l'alba ha il colore della pesca gialla. Il suo sguardo è lontano, distante. Guarda l'orizzonte e parla in automatico. Senza essere interpellato. Dice che lui preferisce il deserto, perché è più grande. Il mare infine finisce lì – e punta il dito verso la riga netta e blu dell'orizzonte.

Salim guarda il mare e pensa i suoi fratelli.
Dice che anche lui è arrivato in Italia su un barcone. Ora è il turno degli altri. Dice che sa che i suoi nipoti sono da qualche parte, vicino alla Sicilia. Sono arrivati da due mesi. Il giorno che sono partiti, dice, si era alzata una tempesta di sabbia, quasi che il deserto si ribellasse a quell'esodo di massa.

Salim guarda il mare e pensa ai suoi nonni.
Dice che già loro avevano fatto quel viaggio, all'inizio del secolo scorso, quando gli italiani bruciarono i villaggi, scacciarono i beduini dalle oasi e li misero nei recinti – stretti come capre. Partirono con la rabbia in corpo, i suoi nonni.
Il mare è una montagna che sale, Salid si ricorda che aveva paura di quelle dune di acqua. Dice che il motore del barcone faticava come un cammello morente.

Salim guarda il mare e pensa al suo viaggio.
Dice che sua mamma gli dava piccoli sorsi di acqua che non bastavano nemmeno per pulirsi la lingua. Facevano i bisogni in un secchio comune che poi svuotavano in mare. Bestie? No, dice, qualche cosa oltre. Le bestie, spiega, non avevano così paura di morire, non avevano quel terrore dipinto negli occhi. Non puzzavano dell'odore della morte.

Salim guarda al mare e pensa al mondo.
Dice che adesso i rais vogliono fare partire tutti i poveracci di quei posti, vogliono far salpare a ritmi incessanti quei barconi che sembrano pullman rovesciati. Il Mediterraneo si deve riempire di miserabili per far tremare l'Europa. È l'arma migliore che hanno in mano i tiranni. La carne marcia dei poveri. È più potente di mille bombe e di mille chili di tritolo. Fa scoppiare i centri di accoglienza, le ipocrisie dei governanti, la bile dei razzisti.

Salim toglie lo sguardo dal mare e scrolla la testa. Oggi farà la spola sul lungomare a piazzare accendini, calze bianche e maglie tarocche.
Ora andiamo al bar a prenderci un caffè.
Ora anch'io guardo il mare e parlo in automatico.
Vorrei dire tante parole ma me ne esce una sola: “Scusa”...



mercoledì 28 ottobre 2015

Di culatelli e cavallette



L'altro giorno abbiamo scoperto che salumi e carne provocano il cancro, né più né meno che le sigarette. Oggi ci dicono che una dieta equilibrata necessita di una manciata di cavallette e qualche etto di vermi. Qualche anno fa ci hanno spergiurato che vivremo fino a centoventotto anni (perché non arrotondare sino a centotrenta?) grazie al gene di un lombrico.

Naturalmente i titoli forzano la mano, come sempre, mentre il contenuto è più dubbioso e complesso. Resta l'impressione che, sempre di più, gli articoli scientifici si strutturino attraverso regole si una spassosa novellistica.
L'era della tecnologia non ha ancora trovato il modo di affinare il linguaggio. E così di quello che accade nei laboratori si parla prevalentemente nei bar con credulità religiosa o con scetticismo beffardo; tutti e due atteggiamenti di un'era pre-scientifica, fino ad arrivare alla superstizione allo stato brado.

In questo contesto è molto difficile stabilire una differenza tra il culto della Madonna di Civitavecchia e quello della cancerosità del culatello. L'attesa fiduciosa di un segno, di un miracolo, di un altro rapporto scientifico ci restituisce alla nostra povera condizione di folla in passiva attesa.

Per la religione può bastare.
Ma per la scienza?...



mercoledì 21 ottobre 2015

La rivoluzione di Berlinguer



Di fronte all'Air Force One messo a disposizione del Primo Ministro Renzi da noi contribuenti – costo qualche centinaia di milioni di euro -, il mio primo sentimento non è sdegno, come forse sarebbe più logico.
No, il primo tarlo che mi è entrato in corpo è stato il ricordo di un politico e di una parola.

La persona è Enrico Berlinguer, che primo ministro non è mai stato, ma il potere e l'ascendente che aveva sulle masse era immenso. Quello che mi ha lasciato non è stato un progetto politico (mai stato ammaliato dalle sirene dell'eurocomunismo), ma una memoria. I suoi tratti personali – quella signorilità dimessa, quella serietà impacciata – incarnavano un raro, forse unico, archetipo di italiano non italiano, così ostile al clima di coinvolgente bagordo del boom italiano (o presunto tale).

Fu tacciato di essere moralista (come sicuramente era) e lugubre (e non lo era affatto).
I suoi comizi erano straordinari per forza e contenuti – coinvolgenti, inebrianti -. Riusciva a provocare l'ovazione anche con una parola che metteva i brividi, in quell'incessante veglione degli anni Ottanta. La parola era austerità, così stridente, oggi, davanti all'Air Force One de noaltri.
Pronunciò inutilmente quella parola, mentre l'Italia si autodissestava finanziariamente e moralmente.

Austerità rimane a tutt'oggi la parola più rivoluzionaria mai pronunciata da un leader politico italiano.

E la dissonanza di quella parola rispetto alla psicologia nazionale resta, oggi più che mai, ben più ingombrante rispetto al resto, perfino all'eco, oramai spenta, dell'eurocomunismo... 

sabato 17 ottobre 2015

Di comunismo e comunisti...




È una storia che si ripete, ma oggi ve la voglio raccontare.
Capita spesso, quando sono in libreria, che il discorso dalle ultime uscite letterarie si sposti verso il terreno minato della politica. Non si dovrebbe, ma succede (cosa c'è di meno letterario della politica?). Ieri si parlava di malgoverno: un argomento sempre attuale, che non manca mai di offrirci ricchi spunti. Ad un certo punto – inevitabilmente – l'oratore di turno, modulando il registro della voce verso il basso, e con un certo senso di commiserazione mi guarda e dice: “Certo che anche voi comunisti, qualche colpa ce l'avete...”. E poi via, come una allegra filastrocca, ad elencare i tanti orrori del comunismo (oppressione, libri paga russi, coop rosse, bimbi mangiati crudi). Ma c'è un errore di fondo.

Il lugubre bilancio del comunismo di potere va ad intaccare le coscienze di chi - effettivamente e senza paraventi - comunista lo è stato. Questa struggente sensazione di fallimento convive però con una certezza, altrettanto forte e perfettamente contraddittoria: che quella appartenenza, quella cultura, quella militanza è stata occasione di crescita, di riscatto, di autentica liberazione per milioni di persone, specie gli umili, gli sfruttati, i senzanome e senzadio, che dentro a quella scuola si sono costruiti una dignità e un'identità prima impossibili.

Se del comunismo è inevitabile avere una pessima memoria, di quanti comunisti non possiamo avere una ottima memoria? Vi risparmio l'elenco dei nomi (uno è mancato due settimane fa…), ma ognuno di noi ne ha parecchi in mente.
La mancata comprensione di questo viluppo stretto tra un ideologia totalitaria e la sua capacità di suscitare anche coscienza critica, moralità e storie degne di essere ricordate, è ciò che rende monca un'analisi storica che va molto in voga in questi tempi.
E anche poco affidabile, se permettete.
Chi conciona contro il comunismo, perché omette di riflettere sui comunisti?...


mercoledì 14 ottobre 2015

Esclusivo; ecco gli effetti del nuovo Senato




Pur di fare il mio dovere da cittadino e leggere i resoconti del match parlamentare sul nuovo Senato le ho provate tutte.
Mi sono legato allo sgabello del computer come Vittorio Alfieri, mi sono imbottito di Prozac come un giovane scrittore americano della beat generation, ho commissionato al KGB un complesso sistema di cavi elettrici che trasmette una violenta scossa ogni qual volta mi cadeva la palpebra. Niente, niente da fare.

Alla prima riga pensavo già al prossimo turno di campionato di calcio, alla seconda canticchiavo una canzone di Renga tamburellando con le dita sulla tastiera, alla terza avvertivo un diffuso senso di assopimento, alla quarta mi apprestavo ad entrare nella fase Rem.

Non è neppure noia, a questo punto. È riluttanza alla stato brado: dopo un biennio di insulti, emendamenti, dossier, morsi agli orecchi tra deputati (o supposti tali), ho sviluppato anticorpi implacabili. Le sole parole “Senato” o “Riforme”, bastano a scatenare una reazione di autodifesa che mi porta in pochi secondi ad un sonno profondo.

Nel dormiveglia, filtrano incubi di quella Cambogia parlamentare che costituisce il piatto forte della cronaca politica nazionale.

Tre immagini spettrali su tutte: il protagonismo pigolante della Boschi, l'esegesi a mezzo stampa di qualsiasi frescaccia esca dalla bocca di Calderoli (si è incazzato perché non gli hanno lasciato esporre tre miliardi di emendamenti: ho letto bene o mi sono addormentato prima?) e l'inspiegabile, inquietante silenzio della coppia Scilipoti-Razzi...

martedì 13 ottobre 2015

Le Iene aprono il castello





Ero lì, con il telecomando in mano, intento a fare zapping. Di solito mi blocco solo in presenza di un pallone di cuoio con una circonferenza compresa tra i 68 e i 70 centimetri. Ieri sera, invece, il mio dito è stato bloccato da un signore (poi ho capito che trattavasi di famoso neurochirurgo italiano) il quale stava manipolando uno scheletro umano con la dimestichezza di un bimbo alle prese con i Lego.
Quel luminare ci stava spiegando che tra non più di un anno e mezzo, lui e il suo pool di professionisti, impianteranno una testa su un altro corpo. La testa è quella di un programmatore russo di trent'anni affetto da una malattia degenerativa, l'atrofia muscolare spinale (o malattia di Werdnig-Hoffmann), che lo ha costretto sulla sedia a rotelle sin dall'età di un anno, impedendogli una vita normale dal punto di vista motorio.
Il corpo non è ancora dato a sapersi.

La possibilità, realistica a quanto pare, di poter eseguire una sorta di bricolage genetico è, rispetto alla storia dell'umanità, almeno tanto stravolgente quanto l'invasione dei marziani.
Comunismo, fascismo, capitalismo, religioni, mercato, guerre, sono, al confronto, dettagli. Eppure questa notizia ci arriva, miscelata in mezzo a tante altre, attraverso il programma più dissacrante del panorama televisivo italiano: “Le Iene”.

La cultura scientifica media, in pieno evo scientifico, è molto più scadente di quella umanistica: chi sia Dante Alighieri lo sanno più o meno tutti, cosa sia un genoma pochissimi. Al di là delle ovvie (e non per questo meno giuste) angosce etiche che tutti proviamo, solo un'infinitesima percentuale dell'umanità ha gli strumenti culturali per “capire” la portata di questo intervento e giudicarla.

Questa impotenza culturale, in questo momenti, spaventa più degli esperimenti occulti.
Frankenstine, racconta Mary Shelley, costruì il suo mostro nel chiuso di un castello.

Quel castello è ancora chiuso...