sabato 27 novembre 2010

I padri dell'Onda

Qualche volta Adelmo passa da Brunin l'Oste.
Si vede verso le sei di sera, appoggiato al bancone con il bicchiere a mezz'aria e lo sguardo assente. Potrebbe sembrare un vagabondo esistenzialista, ma Adelmo è uno che lavora duro, da mane a sera sulla sua barca, a tirare su orate e branzini, acciughe e scorfani.

Ieri è arrivato con suo figlio, un amante della musica sincopata dai testi durissimi, incapucciato sino al mento. Padre e figlio si guardavano usando lo specchio del bancone; erano sguardi con una scia di domande e risposte solo pensate. Il figlio era di ritorno da Genova, dove aveva partecipato alla contestazione studentesca.

Adelmo mi piace; parla con il tono, oggi raro, delle persone che non hanno nulla da vendere. Discutevamo sul Mondo: ragionamenti che producevano schegge e scaglie di idee.

Ad un tratto, Adelmo è saltato fuori con una frase che deve far riflettere: “Io potrei rinunciare a tutto, ma non a far studiare i miei figli”, ha detto. È solo una battuta rubata in un'osteria. Magari molte altre non me le ricordo, risucchiate, come possono essere state, dalla musica da supermarket del locale. Ma mi ha fatto pensare.

Mi fa ha fatto pensare che non tutte le proteste sono uguali, né per obiettivi, né per sensibilità. In una Italia che, forse per la prima volta, si sente in pericolo per quanto riguarda l'istruzione dei propri figli, il pescatore (ma potrebbe essere benissimo il giornalista o il bottegaio o il piccolo imprenditore), pone tra i beni irrinunciabili non l'auto nuova o la casa in montagna o la vacanza esotica, ma la scuola superiore per il proprio figlio.

Questo concetto mi rimanda ad un'antica idea di dignità che pensavo fosse scomparsa. Il benessere ci evita un destino di povertà. E l'auto nuova non va schifata. Ma sognare un figlio dignitoso, non è la stessa cosa che sperarlo ricco.

Per tutte e due le cose occorre denaro, certo. Ma i soldi non bastano, occorre anche un padre come Adelmo che sappia quanto costa la dignità.

mercoledì 24 novembre 2010

Di rotonde, fontane e Cultura

Ora chi scende dal treno a Lavagna ha di che sollazzarsi. È pronta la nuova rotonda, ingentilita da una fontana a cascata che di notte si fa notare con luci psichedeliche. L'amministrazione ha operato bene: Lavagna è una cittadina civile e democratica, a forte vocazione turistica. Un occhio sensibile al bello non può che trarre piacere dal constatare come la nuova opera bilanci mirabilmente la vetusta presenza della stazione ferroviaria, smorzando con la gaiezza dei suoi zampilli la mestizia di stampo littorio della stazione ferroviaria. La sfera luccicante da cui esce l'acqua - che ricorda tanto le discoteche dei miei tempi -, è la classica strizzatina d'occhio per i giovani che approdano nel Tigullio.

Sui giornali è raccontata la legittima soddisfazione di sindaco e giunta: in questi tempi di ristrettezza economiche anche uno scivolo in un parchetto è una vittoria.

Dopo aver detto tutto ciò (e con la riconoscenza di un ospite grato), voglio rivolgermi ai cittadini; le istituzioni, per dogma, non devono e non possono essere intelligenti.

Siete mai venuti a conoscenza di altri modi (esotici? bizzarri?) con cui gli uomini, in Europa e nel Mondo, hanno inteso qualificare il territorio urbano, sconfiggendo il degrado urbano e innalzando la qualità del vivere? Nel tragitto che va dall'osteria di Brunin alla mia macchina (parcheggiata nell'area asservita ai pendolari), ho pensato ad una videoteca di repertorio mondiale aperta fino a notte fonda con caffè annesso. Oppure ad un centro di documentazione per le nuove generazioni indigene che intendono sperimentare le loro manifestazioni artistiche. Oppure ancora ad una biblioteca letteraria italiana, magari corredata da una piccola bouvette o una saletta da the.

Non sono un organizzatore culturale e nemmeno un emulo di Sgarbi; mi ricordo solo quello che ho visto scarpinando per l'Europa, anche in cittadine assai spesso di aspirazione più modesta di Lavagna. Alternative frutto dell'iniziativa privata e anche del concorso pubblico. Non speculazioni, ma onesto ricavo. I costi per la comunità sono assai limtati, senz'altro inferiori a quelli sostenuti per la costruzione e la manutenzione di una rotonda con annessa fontana zampillante e coronata di aiuola fiorita. È un investimento che dà interessi altissimi in termini di qualità della vita e crescita culturale dei giovani.

Questo succede però, purtroppo, lontano da Lavagna, dalla Liguria, dall'Italia...

lunedì 22 novembre 2010

Alle urne! Alle urne!

Non ci si scappa più. Prepariamoci ad un'altra campagna elettorale. Timidamente qualche esponente politico abbozza qualche stralcio di programma. Visto la bassezza del dibattito politico odierno, c'è chi si lascia andare a manifestazione di giubilo. Devo ammetterlo, sono contento anch'io: niente più escort, né scantinati a Montecarlo. In tempo di pochezza culturale, basta poco per farci felici.

Escono dalla naftalina personaggi che, speravamo, si fossero dedicati ad altri e più confacenti hobbies. Ma la disponibilità di Berlusconi e Bersani in odore di elezioni è quasi commuovente. Stanno a sentire tutti. E allora anch'io, voglio scendere in campo, voglio giovarmi di questo cristiano stato d'animo dell'emiciclo politico.
Mi preparo a scendere in campo con la mia personale coalizione. Ho le mie buone frecce nella faretra: il mio bacino elettorale è grande almeno quanto quello dei vari Rutelli & Rotondi: me stesso. 
Ne approfitterò per suggerire qualche punto programmatico da inserire nel faldone che andremo (io e Bersani o io e Berlusconi: non sono schizzinoso) a proporre agli elettori.

  1. Scudetto al Genoa e convocazione immediata di Marco Rossi in Nazionale (tornante sulla destra e titolare inamovibile: B&B, non fate i furbi!);
  2. Protezione assoluta delle fasce deboli (telespettatori di Barbara D'Urso e Carlo Conti);
  3. Frammentazione di tutti i plastici di Bruno Vespa (se qualcuno polverizza anche Vespa, sono diposto a fare il Ministro);
  4. Riasfaltatura della strada che porta a casa mia, che è piena di buche e gibbosità. Visto che ci siamo, un paio di lampioni in più non mi schiferebbero.


Se queste proposte non verranno accolte in toto, abbandonerò la coalizione e attuerò lo sciopero della fame, sperando di non essere battuto sul tempo da Marco Pannella. Però, sono certo che B&B mi riceveranno e ne discuteremo tranquillamente insieme (sul Genoa scudettato, però, non transigo). Se ha voce in capitolo Follini, perchè non dovrei averla io?

Consiglio a tutti gli aventi diritto di attuare questa strategia.
Mettiamoci tutti in fila, prima che risvegli dal letargo anche Walter Veltroni. Meno siamo, più possibilità abbiamo...

venerdì 19 novembre 2010

Made in China

Pioveva che Dio la mandava; acqua che veniva giù come se fosse stata l'ultima. Genova è terribile quando piove, l'acqua ti accerchia da tutte le parti. Dopo anni di onorato servizio il mio mini-ombrello si è trovato inaspettatamente orfano sul regionale Sestri Levante-Savona. Dimenticanze.

Avevo bisogno di un altro ombrello. Sono andato in giro a cercarne uno simile: un oggetto affidabile, semplice, durevole, di univoca interpretazione; così come deve essere un accessorio che dovrebbe starti accanto (nello zaino o nel vano portabagagli della macchina) per anni, magari per buona parte della vita, se non sei invischiato in fastidiose amnesie.
Ero disposto a spendere una cifra adeguata, ma non ci sono ombrelli a cifre adeguate, sul mercato ci sono solo ombrelli cinesi. Di marche diverse, ma solo cinesi. A basso costo, ma sempre e solo ombrelli cinesi.

L'ho comprato di un bel color verde-mare, ma tempo due ore l'ho buttato nel primo cassonetto utile. Inservibile.

Non ho nulla contro i cinesi e la loro meravigliosa società, ma odio profondamente e visceralmente i loro ombrelli. Odio le cose che non funzionano, che non dicono la verità. Odio le cose che sono solo di passaggio tra il cliente e la spazzatura. Quello che restava del mio ombrello (un triste spaventapasseri metallico) mi faceva rabbia.

Avrei speso dieci volte tanto per un buon ombrello pieghevole. Certe cose devono costare per durare. Ma il fatto è che per certi generi di merci non esiste più possibilità di un buon acquisto. Come se produrre cose fatte bene ad un giusto prezzo non fosse più interessante per chi produce, per chi vende e, evidentemente, per chi acquista. Come se gli acquirenti non avessero più la necessità di ripararsi decentemente dalla pioggia. E io non ci credo.

Abbiamo ancora bisogno di cose ben fatte; probabilmente farle bene non costerebbe una follia, ma non farebbe guadagnare quanto hanno imparato a guadagnare quelli che ora li vendono. Ci stiamo circondando di oggetti malfatti e tra dieci anni saremo letteralmente sommersi da discariche di oggetti inutilizzabili, solo perchè in questo modo c'è chi si arricchisce oltre la più fervida immaginazione di un industriale dei tempi passati, quel genere di imprenditori che non disdegnava la ricchezza, ma si sentiva obbligato a guadagnarsela, offrendo sul mercato buoni prodotti in concorrenza con altri buoni prodotti.

In attesa di un capitano d'industria vecchia maniera, non ci resta che sperare in un miglioramento della situazione meteo. Ma qui, accidenti, continua a diluviare...


mercoledì 17 novembre 2010

Gorilla e dintorni

Ognuno è libero di sfogare il proprio voyeurismo come più gli aggrada, ci mancherebbe altro.
Ci sono, ad esempio, rispettabili professionisti che, appena il lavoro concede loro una tregua, si dilettano ad ammirare gli uccelli con l'ausilio di potenti cannocchiali. Osservano le loro abitudini, il loro modo di vivere, i loro stravaganti metodi di accoppiamento.
Si chiama “birdwatching”, ed è una pratica diffusa nelle grandi pianure, soprattutto nelle vicinanze delle oasi naturalistiche.

Certo è che il Dottor Vattelapesca non si sogna nemmeno di far partecipe una nazione intera del suo innocente hobby.

Marco Frittella, conduttore del Tg1, la pensa diversamente, facendo irrompere un servizio nel bel mezzo del notiziario, momento in cui gli italiani si apprestano a portare il boccone alla bocca.

E ora occupiamoci del baby-gorilla...”, dice con aria complice il giornalista.
Ma perchè, Frittella, ce l'ha ordinato il dottore? È scritto nella convenzione di Ginevra? Te l'ha prescritto la commissione di vigilanza della Rai? E perchè mai dovremmo occuparci (tutti insieme, poi) degli affari privati e delle abitudini sessuali di quel povero animale? Ci occupiamo forse, io e il mio amico Giovanni, del tuo stile di vita e delle tue copule, sulle quali vige – sino a quando non deciderà di occuparsene Feltri con uno dei suoi scoop – un civile e sacrosanto silenzio?

Ultimamente mi sono ridotto a litigare con la televisione, come i matti delle barzellette. È la mia personale dfesa, se non dalla valanga di balle e fregnacce che ci propinano, almeno da quel “ci” appiccicoso, copulativo e collettivista che pretende di annoverare tutti noi nella lista degli appassionati di idiozie.

Ma occupatene tu, Frittella, tu e quel babbeo del tuo direttore.

P.s. : Nota di servizio per i rilevatore dell'Auditel. Togliere in fretta, per i prossimi quindici giorni, un nominativo dagli spettatori del Tg1: il mio...

domenica 14 novembre 2010

Schizzi di fango

Non comprate i giornali perchè raccontano solo bugie”. Premettendo un sobrio “mi rivolgo a quei pochi che ancora li comprano”. I cronisti avrebbero raccontato di presunte contestazioni a Sua Bassezza in occasione di qualche sua apparizione-spot. L'enunciatore è, manco a dirlo, Silvio Berlusconi in persona, immortalato in diretta nel bel mezzo del Tg di Canale 5 (che, se non sbaglio, a lui appartiene).

A parte la violenza della frase, che in qualsiasi altra parte dell'universo-mondo avrebbe provocato una sommossa popolare, questa affermazione è così idiota che persino uno come me, che gode ogni volta che Sua Bassezza si fa del male da solo, si sente mortificato.

C'è un paletto oltre il quale destra, sinistra e centro non c'entrano più. E non è nemmeno un problema politico. È l'autentico punto di non ritorno, quello oltre il quale ogni singola bassezza (aridaje...), infamia, bugiarderia, non fa più male solo chi proferisce la cazzata, ma veramente a tutti. È il territorio nel quale la montagna dell'umiliazione collettiva frana addosso a tutti. Non c'è più modo di addossare la colpa a qualcuno, non si intravede la strada della salvezza. Nessuna presa di posizione, nessun programma televisivo, nessuna raccolta di firme: gli schizzi di merda che ci colpiscono quotidianamente hanno la stessa puzza e lo stesso color ocra.

Che S.B. non sappia quello che sta dicendo è ampiamente dimostrato. Che non conosca la portata dello schiaffo alla memoria dei suoi farneticanti teoremi è altrettanto noto (Giuseppe Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Carmine “Mino” Pecorelli, Carlo Casalegno, Ilaria Alpi: questi sono alcuni nomi di giornalisti che sono morti per raccontare sui giornali: studiare la Storia, please...).

Il fatto però che se ne vanti in conferenza stampa, non riguarda più le sue miserie private, ma il pubblico sfascio di un Paese, del mio Paese, cristosanto. Anche l'insulso silenzio dell'Ordine dei Giornalisti (organismo al quale sono fiero di appartenere da vent'anni), mi indigna profondamente.

Tregua.
Pietà.
Basta. Basta. Basta.
Interrompiamo tutto, almeno per quel tanto che basta per vergognarci e per toglierci da dosso i frammenti di materiale organico.
Basta. Basta. Basta...

giovedì 11 novembre 2010

Quando l'Apocalisse slitta

A volte basta un attimo per toglierti di dosso certezze granitiche. Basta sfogliare distrattamente un settimanale nella sala d'aspetto di un dentista. Dopo aver scansato un “Gente e Motori” del 2002 e un “Famiglia Cristiana” di due anni più recente, mi è capitato in mano un periodico incredibilmente recente.

A pagina 46 di “Oggi” dei primi di novembre (probabile sedimento di un paziente distratto), campeggia un titolo che ha del sensazionale: “Il 2012? Niente paura, la fine del mondo è stata rinviata”. A piè pagina, il conduttore di Voyager, Roberto Giacobbo (che su questa profezia ha calamitato i suoi – pochi – telespettatori), insiste sulla veridicità del vaticinio.

Il teorema è, quindi, che moriremo (bella scoperta) e l'assioma è che non si sa quando (altra banalità da Guiness dei primati).
Confermandomi le mie desolanti incertezze, il dilatorio Memento Mori di Giacobbo, riesce ad allietarmi, specie se raffrontato alle implacabili datazioni delle religioni più rigide e settarie, secondo le quali la vita, come lo yogurt, ha una scadenza.

Fa eccezione (lodevole) il Buddismo, secondo il quale la cognizione della fine è posta generosamente nel vago: nascere e morire sono dettagli che si stemperano nel Grande Tutto. Sono nient'altro che divertenti, di contro, i pronostici da Totocalcio delle più svariate compagnie di sventura che spostano in avanti la data dell'imminente Apocalisse, quando la precedente trascorre senza danni.

Pensate che delusione prepararsi in pompa magna al trapasso (per giunta collettivo), e accorgersi che, ancora una volta, tocca rimandare. Alla luce di questa incredibile notizia avvallata da Giacobbo, confido di celebrare il 21 (o era il 23?) dicembre del 2012 alla maniera del vecchio capo indiano del Piccolo Grande Uomo: si dice ai propri cari che l'ora è giunta, si sale sulla cima di una montagnola, poi, all'imbrunire – complice un certo appetito – si prende atto che la fine tarda a giungere. Ci si rialza e si torna a casa, giusto in tempo per la ghigliottina di Carlo Conti. 

lunedì 8 novembre 2010

VotaVale, VotaVale, VotaVale...

Il commento più arguto al frammento di intervista a Antonio Di Pietro andato in onda su una rete nazionale, è stato quello del mio amico Brunin l'Oste: “E allora perchè non fa politica anche Valentino Rossi?”.
Dopo tutto se l'obiettivo è quello di far trionfare la non-politica sulla politica, il Vale nazionale ha lo stesso indice di gradimento dell'ex Pm, lo stesso candore lessicale che fa tanta simpatia, lo stesso sorriso. Tutti e due parlano con l'intervistatore di turno come se fosse la cosa più naturale del mondo, strafalcionando (volutamente o meno) per il pubblico ludibrio. Andando alla ricerca di altre similitudini, mi vien da pensare che Di Pietro fu eletto al Mugello, territorio toscano noto per il suo autodromo, terreno sul quale, Vale, è idolo mondiale incontrastato.
D'accordo, Rossi non è nemico di Sua Bassezza: ma per questo basta attendere. La capacità di Berlusconi di costruirsi nemici è inarrivabile; il suo unico scopo nella vita parrebbe quello di dividere il mondo in berlusconiani e anti berlusconiani. Persino quelli come lo scrivente (al quale di Sua Bassezza non interessa un fico secco) sono costretti a schierarsi.
Però, ecco, penso che essere nemici di Sua Bassezza, in sé, non dovrebbe bastare per acquistare valenza politica nazionale.
E gli esempi non mancano.
Su Veronica Lario, la santa donna che ebbe la sfiga di dividere il talamo con S.B. per parecchi anni (probabilmente non in esclusiva), piovve una proposta di candidatura da parte del Pd di Ualter Veltroni. La qualità politica più pregnante della Lario era quella di aver parecchio in uggia l'ex marito.
Andando indietro nel tempo, Cecchi Gori si ritrovò ulivista, senza aver capito che cosa possa essere un ulivo (nemmeno sotto il profilo meramente botanico: lui stipendiava un giardiniere).
Perchè non pensiamo, almeno, ad un test di ammissione?
O dobbiamo rassegnarci a dipendere in eterno da Berlusconi, al punto da considerare un amicone chiunque abbia l'ardire di pestare i calli a Sua Bassezza?
Ci meritiamo questo?...

venerdì 5 novembre 2010

Ospizio Italia

Magari un bel giorno si incontreranno tutti insieme, i grandi del Mondo Occidentale; i Grandi Burattinai, insomma.
Un simpatico convivio tra Primi Ministri, innaffiato da buon vino bianco ghiacciato e infarcito di vassoi di canapes.
E capiterà anche che, dopo aver esaurito argomenti pregnanti come l'estinzione della foca monaca e l'assenza del gelato alla soia nelle buvette, si parlerà anche delle Riforme. Di quelle che potrebbero cambiare il mondo; di quelle che, per portarle a termine e soprattutto per applicarle, occorrono ampie vedute e intelligenza vivace. Essere anziani, certamente, non giova.
E allora prenderà la parola Angela Merkel (tedesca, 56 anni), la quale proverà a iniziare il discorso assieme a Nicolas Sarkozy (francese, 55 anni, portati bene, ma suonati). Però saranno subito zittiti da Dmitry Medvedev (russo, 45 anni), il quale gli spiegherà che, forse, per loro, è arrivato il momento di farsi da parte: la carta di identità è impietosa. José Zapatero (spagnolo, 50 anni) e Barak Obama (statunitense, 49 anni) assentiranno, facendo tintinnare il ghiaccio nel flute.
Quando il russo avrà terminato, sarà la volta di David Cameron (britannico, 44 anni), seguito a ruota dal danese Anders Rasmussen (46 anni) e dal canadese Stephen Harper (51 anni). Qualche contributo arriverà anche, siamo sicuri, da Julia Gillard (Australia, 49 anni) e dall'olandese Mark Rutte (43 anni). Mary Kuvinemi (finlandese di 42 anni), spenderà parole di spensierata giovinezza. La Merkel e Sarkozy, saranno relegati in un angolo ad ingerire quantità industriali di tartine, sempre più imbronciati e fuori luogo.
Ma ecco che, tra una barzelletta e una palpatina sul culo di qualche sventurata hostess, farà la sua apparizione S.B. (Sua Bassezza).
Berlusconi (aimè, italiano, 74 anni) enuncerà alla platea attonita la sua personale ricetta per cambiare il mondo, le famose tre I: Inglese, Internet e...boh.
Sua Bassezza è accompagnato dal Presidente Giorgio Napolitano (Italia, 85 anni), che a sua volta è sorretto dal badante (filippino, 28 anni). Eppoi si dice che gli extracomunitari non servono (ad abbassare la media)...

mercoledì 3 novembre 2010

Pezzi di cronaca

Mi stavo rotolando sulla polvere del pavimento. C'è stato un attimo in cui ero sicuro di aver avuto, finalmente, la meglio. Ma all'ultimo istante, è sfuggita. Ed è ripresa la lotta.
Prima di iniziare, quando tutto era tranquillo ed il mondo accadeva e basta, ho chiesto a mia moglie e mia figlia di non entrare nella vicenda: dovevo cavarmela da solo.
Il gineceo familiare era ai bordi del ring: la loro unica partecipazione era un lieve scrollamento della testa.
Papà sei un imbranato...”, sentenzia mia figlia (otto anni appena compiuti). Forte di questo insulto, dò uno scossone disperato al viluppo dei muscoli e tendo ogni nervo dell'avambraccio. Con una insolitamente abile torsione dell'attrezzo che ho in mano, riesco ad avvitare anche l'ultima vite, bloccandola nell'apposita scanalatura. E voilà, la mia libreria Billy targata Ikea, è pronta. Dritta, orgogliosa e agghindata di un civettuolo color blu-mare. Guardo con fare smargiasso mia figlia.
L'avventura è iniziata la settimana prima, entrando nell'enorme porta girevole del più grande supermercato del mobile (purtroppo) fai-da-te. All'interno è una brulicante Pechino dei carrelli, con persone all'affannosa ricerca mensole, sturalavandini, cucine complete, spremiaglio. Fuori, i residenti del quartiere (cioè quei pochi che non facevano razzia di faretti alogeni in offerta speciale), erano barricati in casa. Sia benedetta la ricerca del superfluo; penuria e fame, almeno in Italia, sono un ricordo ancora vivo per fare gli schizzinosi.
E allora anche noi, abbiamo partecipato a quell'enorme autoscontro tra carrelli: volevamo una libreria. E l'abbiamo presa, assieme a dieci lampadine, due schiaccianoci (perchè due? Non chiedetemelo...), tre scatole portatutto, un tavolino da esterno (non abbiamo il giardino, ma questo è un particolare secondario), un cuscino portacomputer e tre confezioni di salmone affumicato.
A parte le lampadine – sul salmone vi farò sapere: è ancora in frigo -, tutto era fratturato in due o più parti da assemblare, calibrare, assestare e fissare. Un inferno per chi, come me, ha una manualità prossima allo zero. E, a giudicare dagli sguardi preoccupati degli altri esemplari maschi presenti all'Ikea, non ero l'unico in quella spiacevole condizione.
Dopo ore di affannosa ricerca e selvaggio acquisto arriviano alla cassa. Gli addetti alla riscossione sono estremamente cortesi e disponibili. La ragazza alla cassa prende la mia carta di credito e capendo al volo il mio dramma interiore, mi sorride.
Il suo fare riverente non riesce, però, a bloccare il mio recondito retropensiero: “Cazzo ridi”...