Ero
lì, con il telecomando in mano, intento a fare zapping. Di solito mi
blocco solo in presenza di un pallone di cuoio con una circonferenza
compresa tra i 68 e i 70 centimetri. Ieri sera, invece, il mio dito è
stato bloccato da un signore (poi ho capito che trattavasi di famoso
neurochirurgo italiano) il quale stava manipolando uno scheletro
umano con la dimestichezza di un bimbo alle prese con i Lego.
Quel
luminare ci stava spiegando che tra non più di un anno e mezzo, lui
e il suo pool di professionisti, impianteranno una testa su un altro
corpo. La testa è quella di un programmatore russo di trent'anni
affetto da
una malattia degenerativa, l'atrofia muscolare spinale (o malattia di
Werdnig-Hoffmann), che lo ha costretto sulla sedia a rotelle sin
dall'età di un anno, impedendogli una vita normale dal punto di
vista motorio.
Il
corpo non è ancora dato a sapersi.
La
possibilità, realistica a quanto pare, di poter eseguire una sorta
di bricolage genetico è, rispetto alla storia dell'umanità, almeno
tanto stravolgente quanto l'invasione dei marziani.
Comunismo,
fascismo, capitalismo, religioni, mercato, guerre, sono, al
confronto, dettagli. Eppure questa notizia ci arriva, miscelata in
mezzo a tante altre, attraverso il programma più dissacrante del
panorama televisivo italiano: “Le Iene”.
La
cultura scientifica media, in pieno evo scientifico, è molto più
scadente di quella umanistica: chi sia Dante Alighieri lo sanno più
o meno tutti, cosa sia un genoma pochissimi. Al di là delle ovvie (e
non per questo meno giuste) angosce etiche che tutti proviamo, solo
un'infinitesima percentuale dell'umanità ha gli strumenti culturali
per “capire” la portata di questo intervento e giudicarla.
Questa
impotenza culturale, in questo momenti, spaventa più degli
esperimenti occulti.
Frankenstine,
racconta Mary Shelley, costruì il suo mostro nel chiuso di un
castello.
Quel
castello è ancora chiuso...
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