martedì 10 dicembre 2013

Lacrime e pioggia per Mandela



Vorrei piovesse il giorno del mio funerale. Pioggia forte, come se fosse l'ultima. A parte la naturale empatia che nutro nei confronti di questo fenomeno meteorologico così bistrattato, vorrei che chi seguirà il mio corteo funebre lo faccia perché lo voglia fare. Che magari si fosse dimenticato l'ombrello a casa e nessuno, nei suoi pressi, gli presti aiuto.
Vorrei che non avesse nemmeno uno straccio di K-Way, ma nonostante tutto si avvii con passo spedito dietro al carro.
Vorrei che le sue lacrime si impastassero con le gocce di pioggia.
Ne conosco un paio (non di più) che sfiderebbero anche l'uragano Katrina, pur di accompagnarmi al camposanto.

Troppo facile, accompagnare un corteo funebre con il sole, magari verso le tre, giusto in tempo per digerire il lauto pranzo ed agevolare il salvifico ruttino. Troppo facile.

Oggi, a Johannesburg, al funerale di Mandela pioveva. Incessantemente, tutto il tempo, pioveva. E tutti, sotto la pioggia, ballavano. E piangevano, senza soluzione di continuità. Pioveva e loro ballavano e piangevano. Indimenticabile. Queste due azioni (pioggia e pianto) valevano più di mille parole di Obama o Ban Ki-Moon.

Un giorno, tanto tempo fa, un giovane collaboratore – tutto borchie, tatuaggi e anarchia – venne a propormi un servizio su una manifestazione a Roma. A parte la praticamente nulla utilità di un articolo dalla Capitale per le pagine di provincia di un quotidiano di Parma, io feci presente al virgulto barricadero – più che altro per togliermelo dai coglioni – che le previsioni del tempo erano tutt'altro che buone. Infatti era prevista pioggia. Lui preso in contropiede battè in ritirata. “Ah, no, allora no. Allora facciamo che seguo il festival del prosciutto”.

Meglio, molto meglio”, gli risposi...

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