Signor direttore, le scrivo questa lettera per mettere al
corrente i lettori di una situazione che sta diventando per me, insostenibile.
In-so-ste-ni-bi-le. Si tratta di crimini che nessuno ha il coraggio di porre
fine.
Una parentesi. Io amo il mare. Amo immergermi nelle acque
cristalline, sfiorare il fondale sabbioso, librarmi, riemergere. L’acqua è il
mio elemento naturale. A parte il fatto che ultimamente sembra proprio che
qualcuno si stia divertendo a buttare nel mare immondizia, rifiuti tossici,
fiumi di solventi, liquami, cannucce e lattine, cicche di sigaretta e borse di
plastica; insomma una discarica liquida.
A parte questo, dicevo, io nel mare ci sto proprio bene. Ma
sono una che mi accontento, mi ambienterei anche in un qualsiasi altro specchio
acqueo. Che so, un lago, un fiume, uno stagno, un canale; anche una qualsiasi
polla di acqua. Sento che mi fa bene alla salute, l’acqua rafforza la mia
costituzione, mi rigenera. Oramai sono un po’ anziana. Senza contare, poi, il
lato psicologico: in acqua mi sento un'altra. Davvero. Poi mi sdraio sulla
battigia. Dio, che bello crogiolarsi al sole o riposarsi sotto ad un anfratto
di uno scoglio per sfuggire alle folate di tramontana. È fantastica la spiaggia
all’imbrunire, quando è popolata di canti di gabbiani, che sono richiami, quasi
domande e risposte in musica. Sembra che nulla possa succederti in riva al
mare. Tutto è rimandato.
Non vorrei essere fraintesa, io non chiedo niente a nessuno.
Sono autosufficiente, signor direttore, è bene che si sappia. Non ho mai
chiesto niente a nessuno. E mai lo chiederò. Invece no. Qualcuno si prende la
briga di venirmi a cercare, ovunque io sia. Cercano di millantarmi con strani
monili metallici. Le provano tutte quei loschi figuri. Ma io non cedo alle
lusinghe, signor direttore, non mi faccio comprare. Però mi sono voluto
togliere una soddisfazione.
Un giorno ho seguito quei signori che erano al settimo cielo
perché erano riusciti a convincere la mia amica Rachele. Quella lì è un po’
facilona, è bene specificarlo. È sempre in cerca di avventure, sempre afflitta
da bovarismo, insoddisfatta. “Ma cosa ci facciamo qui, sempre la solita vita,
perché non andiamo a vedere che cosa succede in giro e bla e bla e bla e bla” ,
tutti giorni la solita solfa.
Non che sia antipatica, Rachele, ma diciamo che l’ambiente
dove vive le sta un po’ stretto. Secondo me non hanno fatto neppure troppa
fatica a convincerla. Allora, dicevo, li ho seguiti, dico Rachele e quei
signori; volevo capire dove la stavano portando. E allora ho visto, signor
direttore.
Un ristorante a cinque stelle. C’erano i camerieri che
sembravano figuranti del film “Titanic” (Dio, che bello quel film lo avrò visto
decine di volte. Volevo anche andare a visitare il luogo dove si è inabissato,
e non è detto che prima di morire non lo faccia davvero). L’arredamento in
stile marinaro, come piace a me; tutto tek e ottone.
Ma torniamo a noi. I camerieri portavano in giro Rachele per
tutto il locale. I clienti che l’ammiravano, se la mangiavano con gli occhi. Ma
non erano clienti qualunque: uomini in giacca e cravatta e dame impellicciate e
ingioiellate. Per qualche minuto, lo devo confessare, ho invidiato la mia
amica. È stata questione di un attimo; Rachele era alla ricerca di una serata
speciale, in un ambiente chic. Il suo sogno si era avverato, si vedeva che era
in estasi. Veramente. Poi tutto ad un tratto, un signore in doppiopetto con il
sigaro in bocca, chiama da parte il cameriere e continua a segnare Rachele con
il dito. E io che penso, che cosa vorrà mai quel tipo che è accompagnata da una
“signora” – si noti bene le virgolette – che avrà più o meno un terzo della sua
età. Vuoi vedere che sta finendo in un brutto giro, quelle porcherie che si
fanno a tre, quattro persone (non so se mi spiego, signor direttore. Ma lei
avrà già capito, essendo uomo di mondo…). Vuoi vedere, ho pensato, che quei due
maiali si vogliono solo divertire per una sera alle spalle della mia amica? Ero
già pronta a intervenire. Sono piccola, ma robusta; ho due dita che sembrano due
tenaglie. Ero oramai sul piede di guerra, quando vedo il cameriere che prepara
la vasca per farla divertire un po’ in acqua. E allora mi sono tranquillizzata.
Anche Rachele, in fondo, ama il mare anche se si lamenta sempre. Ha la mia
stessa fissazione, siamo della stessa specie, non c’è nulla da fare. Il cameriere accompagna
delicatamente Rachele verso la vasca, fino a farla immergere completamente. Lei
si trastullava, giocava sulla
superficie, si calava sul fondo, riemergeva. E intanto l’acqua fumava e
fumava. Ad certo punto negli occhi di Rachele ho visto un ombra di
preoccupazione, tanto che cercava di uscire dalla vasca.
Ma le pareti della vasca erano viscide e il cameriere non ha
mosso un dito per aiutarla. E lei scivolava e ritornava sempre a pelo della
superficie. I clienti che avevano chiesto di Rachele rimanevano a guardarla
dibattersi e poi rituffarsi e poi riemergere per poi riscivolare. E intanto
l’acqua fumava e fumava. L’irreparabile era oramai dietro l’angolo, signor
direttore. Pochi secondi, e il corpo di Rachele era esanime nell’acqua che
bolliva e bolliva. Camerieri e clienti erano soddisfatti, quasi entusiasti del
crimine commesso. L’acciottolio di piatti e bicchieri – quasi un applauso
sinistramente metallico – ha coperto anche l’ultimo grido di dolore di Rachele.
Che brutta fine, signor direttore. Le sembra giusto tutto questo?
Firmato
Una aragosta
(Mantengo l’anonimato per eventuali atti di rivalsa da parte
dei criminali)