sabato 4 settembre 2010

Ite schola est...

Un tempo là sorgeva un campus universitario, primitivo agglomerato di cultura smantellato da secoli; da quando, cioè, un imprenditore, un paio di antennisti brianzoli e dieci soubrette molto prossime alla nudità, cambiarono le regole del vivere quotidiano. Era il lontano 566 dell'era D.B. (Dopo Berlusconi).
Al posto di aule, palestre, laboratori e macchinette per la distribuzione di caffè e merendine, una compagnia petrolifera pensò bene di implementare una raffineria. La salubrità decisamente scadente della zona fece da deterrente per le migliaia di extracomunitari che ivi vivevano. Solo due comunità etnicamente pure si adattarono a fare di Kaos il loro quartiere (marocchini, senegalesi e uzbeki tornarono allegramente a casa loro, pagando fior di dollari bagnini riminesi riconvertiti in scafisti sui pedalò).
Il primo gruppo era quello formato da insegnanti precari. Due volte al giorno si siedono su fusti di olio frusto e uno di loro, ad estrazione, funge da insegnante. Le materie che si dibattono sono quelle in via di estinzione: fisica, matematica, italiano, educazione civica, buone maniere e buon senso. Al loro posto era stata resa obbligatoria la recitazione a memoria del palinsesto di Canale 5 e la vita e le opere di Augusto Minzolini (praticamente un foglio vuoto).
Questo drappello di persone sono gli unici eroi che si opposero ai più autorevoli esponenti della coalizione di Governo che avevano proposto la cassazione di queste inutili materie. Fu una guerra dura e senza esclusione di colpi. Gli insegnanti precari vinsero l'ultima e decisiva battaglia grazie al lancio di cancellini impregnati di una sostanza urticante inventata lì per lì da un insegnante di chimica laureato alla Normale di Pisa e con un master ad Yale. Altri colleghi (che aborrivano la violenza) avevano optato per la migrazione verso un paese culturalmente molto più evoluto: il Burkina Fasu.
Gli insegnanti convivono con l'altra etnia, i Magutt bergamaschi, i quali si mettono in comunicazione con i docenti attraverso gesti primitivi: questa specie, infatti, è solita esprimersi solo in dialetto stretto e talvolta non si capiscono nemmeno tra di loro. I Magutt fanno i muratori e vivono in case che loro stessi costruiscono e che buttano giù due volte al giorno per poi rifarle. È una specie molto simpatica e gioviale; s'incazzano solo quando perde l'Atalanta. Il capo Magutt è una quercia di due metri e ventidue di altezza; al mattino fa colazione con lampadine crude, la sera cena con una frittura di chiodi del dodici e beve solo cherosene. Fa rutti bestiali (e anche altamente infiammabili).
Per una stranissima congiunzione astrale, i due gruppi etnici vivono assieme senza avere particolari screzi. Un Magutt ha imparato anche a parlare in italiano, in virtù delle lezioni di un professore di filosofia, italiano, storia moderna e matematica quantistica. Grazie a questo miracolo, il Magutt riuscì anche ad avere un colloquio con un esponente della maggioranza che reggeva il Paese. L'opposizione non esisteva già da secoli. Ma questa è un'altra storia. È storia di oggi...

1 commento:

  1. Caro Aldo, ho imparato a conoscere la tua onestà intellettuale.
    Gli scenari che disegni con tanta vivacità ed arguzia, però, sono certo che appartengono alla sfera della provocazione.
    E' da 1968 che si tenta una riforma scolastica e qualunque tentativo, fatto da chiunque abbia tentato (bianco, rosso, sfumato...) è sempre stato osteggiato con la medesima energia: io ho vissuto il '68, e le motivazioni d'allora non mi sembrano diverse da quelle di oggi, e pure le manifestazioni e le proteste, con i dovuti aggiustamenti, fanno parte dello stesso un deja vu.
    Nella considerazione che l’insegnamento in Italia è agli ultimi posti su scala mondiale, da qualche parte si dovrà pur cominciare per rinnovare, abbattere i centri di potere e ricostruire un’immagine irrimediabilmente compromessa; ci sarà poi tempo per migliorare, aggiustare e correggere.
    Quella, poi, degli studenti che occupano e contestano, è una scenografia che si ripete con monotona puntualità ogni anno da quel lontano '68. E' diventato quasi un esercizio cui nessuno sembra volersi sottrarre ed al quale i presidi (di liceo o di facoltà) si sono rassegnati a sopportare come la pioggia o il caldo stagionale. Il che, come tutte le cose alle quali ci si abitua, ha fatto perdere contenuto e credibilità.
    Qualunque iniziativa un governo voglia prendere, che sia la giustizia, la sanità o l’università, trova ostacoli d’ogni genere promossi dai diretti interessati che non vogliono perdere i privilegi acquisiti… . Salvo, poi, accusare i governi - come fa qualcuno dei tuoi lettori - di non aver apportato nessuna riforma strutturale.

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