giovedì 5 maggio 2011

Un giorno al mare




Non sono molto contento oggi. Ho passato il pomeriggio a godermi il primo sole di maggio, ma non sono per nulla contento. Guardo meccanicamente il mare, gli scogli, di cui so a memoria anfratti e increspature, come visi di persone familiari che diventano invisibili per la troppa familiarità. Ad un certo punto stendono il loro asciugamano di fianco a me, due giovani. Sono quasi a contatto di sudorazione.

Li ho ascoltati per tutto il pomeriggio parlare del loro lavoro. Lavorano in un call center, pagati in nero, la miseria bastante a godersi, con me, il dì di festa e provare a mettere un asciugamano da qualche parte al mare di casa loro; un mare calmissimo e irrepetibilmente verde.

Fanno un lavoro di “merda”, il tipico lavoro di un call center: frapporsi fra chi ha bisogno di informazioni e chi dovrebbe darle, dando risposte che per lo più non hanno la possibilità e la scienza di dare. Il loro discorso non aveva il tono del lamento, ma della nuda e cruda constatazione: una frustrazione senza rimedio e senza consolazione. Trattati come pezze da piedi, come se il solo fatto di aver accettato quel lavoro fosse l'implicita ammissione di una colpa. Parlano anche dell'amica licenziata, appena la pancia ha tradito la scarsa produttività di una futura madre. Non solo nessuna certezza, ma nemmeno nessuna speranza, nessuna opportunità. Le loro frasi erano una specie di manifesto dei perdenti.


Questo ho ascoltato: la certezza di una precarietà immobile che dilaga dal lavoro all'anima, ai sentimenti. E ci ho pensato su tutto il giorno, sul mio ascuigamani in riva al limpido mare di Lavagna.

Ho pensato a questa generazione di lavoratori, alle molte centinaia di migliaia di giovani uomini e donne istruiti, cresciuti nella contemporaneità globale, e mi sono chiesto quanto sarà diversa la loro vita, se avranno mai maggior animo, maggiori speranze, più opportunità di emanciparsi dalla contingenza di una precarietà senza libertà, di quante ne aveva un bracciante servo, perso in un latifondo lucano nel cuore degli anni '50. Quanto peserà nel loro futuro di adulti, aver trascorso l'età della loro giovinezza nella frustrazione delle più degne aspettative, in una società che spiega loro che ciò che hanno avuto è il giusto e il resto è solo invidia di classe. Mi chiedo cosa resterà loro da dare ai propri figli, al mondo, all'universo, se non hanno per sé altro che un oggi da ripetersi all'infinito.

Ho passato una giornata di festa al mare pensando al lavoro. Non mi ha fatto bene...

7 commenti:

  1. ho due figli della generazione 1000 euro. A uno mancano pochi esami per laurearsi in Scienze Politiche ma la cosa non gli interessa più e lavora da sempre , avrà cambiato almeno una ventina di lavori e non ha nessuna certezza mai di mantenerli . Quasi mai è stata colpa sua averli dovuto cambiare , sicuramente spesso non rientrava più nei canoni... o non aveva più l'età o non c'era più necessità della sua qualifica o si scopriva che erano finiti i soldi che 'dall'alto' arrivavano per quel tipo di lavoro. Si arrabbia, ogni tanto, ma prende quello che arriva e spera che duri.L'altra è una solerte formichina ha accumulato una Laurea in Pedagogia, ha fatto un Master, si è sposata ed ha avuto un bimbo. Lavora ,fa l'educatrice in una Onlus che si occupa di handicappati gravi adulti e non si spaventa se deve lavare o pulire donne quasi della mia età . Mio genero avrebbe dovuto laurearsi in Ingegneria ma suo padre ha una società con lui uno zio ed un cugino e fa un lavoro ormai di famiglia da tre generazioni : fanno e rifanno tetti e impermeabilizzazioni varie.Sono tre persone, i miei figli, che amo realmente e che non capisco per niente. Vanno avanti , non urlano,sorridono e vivono godendo delle piccole cose . Ogni tanto fingono di appassionarsi alle mie proteste politiche o di arrabbiarsi al finto qualunquismo esibito dal padre per vedere cosa dicono. A me non mi fa bene vivere così ...ogni giorno...

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  2. eh,si Aldo il lavoro che non lascia tregua perché angosciante,alienante diventa un'ossessione di ogni istante,cancella la relazione al presente,si dilegua espandendosi in ogni dove,si erge come una fortezza davanti ad ogni possibilità di futuro

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  3. PURTROPPO QUESTA E' LA SITUAZIONE, PENSO SEMPRE COSA ACCADRA' ALLE NUOVE GENERAZIONI, CHE NE SARA' DEI NOSTRI FIGLI? NON VEDO MOLTE SOLUZIONI IN QUESTO PERIODO,,,,MIO FIGLIO MI RIPETE SPESSO, LA POLITICA FA' SCHIFO, TU DEVI SMETTERLA DI SOGNARE, DOVE SONO LE NOSTRE SPERANZE? HANNO RUBATE ANCHE QUELLE I POLITICI.. LUI HA 17 ANNI... IO MI SENTO IMPOTENTE E SINCERAMENTE LE MIE RISPOSTE NON LO SODDISFANO PIU'... CHE BRUTTI TEMPI. GRAZIE CARO ALDO.....

    ELEONORA B.

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  4. Una realtà quella sottoccupazione giovanile che ha radici profonde e tentacolari e che sembra lasciare del tutto indifferenti quanti avrebbero la responsabilità di provvedere.
    Ricordo ancora la frustrazione del mio primo colloquio di lavoro, l’aria si sufficienza del tuo “esaminatore”, la domanda offensiva a chiusura del colloquio: ma tu, la voglia di lavorare ce l’hai? A me che poi mi sono rivelato per quarant’anni uno stacanovista e spesso la cattiva coscienza dei miei colleghi.
    E poi c’è la malafede di chi t’assume con questi “progetti”, stage e lavori in prova che non finiscono mai.
    Ed ancora le chiamate, all’indomani della laurea, che ti fan correre a Milano: “signorina (neanche dottoressa) abbiamo appreso dalla sua università che s’è appena laureata in giurisprudenza. La mia Società di primaria importanza nazionale, le accorda un colloquio per un lavoro che richiede le sua competenze...” . Poi arrivi lì e scopri che devi vendere libri o assicurazioni.
    E quando avrà la fortuna di entrare in uno studio, sarà suo padre che deve girare il tuo stipendio al professionista che, comunque, la impiega 18 ore al giorno senza passarle neppure il rimborso spese... .

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  5. Non riesco a capire perchè tanti giovani preparati e sfortunati debbano necessariamente lavorare in un call center. Io lavoro in una fabbrica tramite agenzia interinale e come me tanti altri, che riescono a raggiungere 1100/1300 euro al mese, svolgendo un lavoro tutto sommato decente anche se non meno irregolare nella continutità come il loro. Essere laureati non significa rifiutare un lavoro in fabbrica.

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  6. Ho due figlie in età... da lavoro, anche se studiano. Tante idee e pochi orizzonti rosei....
    Acta est fabula, plaudite!
    Plaudite lacrime.
    Una carezza a te Aldo
    Mariaconcetta

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  7. Il 6 maggio in piazza eravamo tanti, tantissimi ed incazzati. Parma è tornata a riempirsi di bandiere rosse come un tempo, come da tanto non succedeva. E' un inizio, il disgelo è cominciato. Facciamo capire a tutti quei giovani che nel sindacato e nella politica non credono più che abbiamo una risposta, che possiamo fare qualcosa per loro, e forse le cose inizieranno a cambiare davvero.

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